Ambaradan di Gianna Buonaccorsi

Noi usiamo questa parola per definire un allegro caos, mentre il dizionario De Mauro riporta: "grande confusione, baraonda". Forse però non tutti conoscono la triste origine di questo modo di dire che sfata il mito di "italiani brava gente" e ci ricorda un periodo storico che può rimpiangere solo chi non lo ha vissuto o si nutre di propaganda fascista. 
Amba Aradam è una montagna (Amba appunto) che si trova in Etiopia e che fu teatro di un crimine orrendo: il massacro di centinaia di donne, vecchi e bambini col terribile gas dell'iprite.
Dal ’29 il Duce, in un attacco di megalomania, decise che l’Italia sarebbe dovuta tornare come ai tempi dell’Impero Romano: aquile imperiali, fasci littori e, soprattutto, colonie. L’Etiopia poteva andare bene, un territorio ricco e un esercito povero.
Fu così che l’Italia nel ’35 decise di attaccarla e nel ’36 Mussolini dichiarò la nascita dell’Impero.
Quello che la storia non ci dice o tenta di nascondere sono le porcate che seguirono. In particolare la battaglia di Amba Aradam, il monte nelle cui grotte si rifugiò una compagine dell’esercito etiope, con donne, anziani e bambini al seguito, decisa a non darla vinta agli invasori.
Mussolini ordinò di stanarli ma l’impresa risultò non priva di difficoltà. Così si decise di fare intervenire i granatieri muniti della famigerata iprite, un gas che provoca la morte fra indicibili sofferenze. I sopravvissuti, circa 800 furono fucilati subito dopo. Ulteriori sopravvissuti, specie donne e bambini rifugiatisi nei meandri delle molte caverne che perforavano il monte furono sterminati a colpi di lanciafiamme.
Fu una carneficina, fu una devastazione totale, un' irrazionalità contro ogni norma della convenzione di Ginevra. Una vergogna ignorata per anni, che solo nel 2006 sarà riportata alla luce, grazie al giovane Matteo Dominioni, dottorando italiano all'università di Torino, che, partendo da un malloppo di documenti rinvenuto per caso nell'ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito, si è messo sulle tracce del massacro.
Ma nonostante tutto se ne è parlato poco, pochissimo. Un bellissimo articolo di Paolo Rumiz, uscito su Repubblica il 22 maggio 2006, è l'unica cosa dettagliata che si riesca a trovare in rete sull'argomento; in Italia solo quattro città hanno dedicato una via al nome di questa strage: Roma, Genova, Mestre e Padova. 
L'orrore è stato coperto per anni clonando una nuova parola che avesse un significato completamente diverso e che ricordasse, nella memoria di tutti, qualcosa di totalmente diverso. E quando cerco di capirne il motivo mi viene in mente soltanto una parola: vergogna! 
Ora è Alessio Lega, uno dei rappresentanti più coerenti del canto sociale, che riporta alla memoria questa ennesima barbarie con una canzone che può sembrare un tormentone estivo ma che è invece una lucida denuncia della ferocia del colonialismo italiano. 
Il video e il testo.


Ambaradun ambaradiro ambaradan
ambaradun ambaradin banbero

Che cosa mai vorrà dire Ambaradan:
una parola così sbarazzina
“ma che casino, cos’è ‘sto Ambaradan?”
una reminiscenza abissina

sull’altopiano dell’Ambaradan
ci siamo appena sporcati le mani
abbiamo fatto solo un po’ di Ambaradan
noi brava gente, noi tanto italiani

Ambaradun ambaradiro ambaradan

Sotto le grotte dell’Ambaradan
c’erano donne, coi vecchi e i bambini
sopra le grotte dell’Ambaradan
arrivano i nostri soldatini

col gas d’arsina e le bombe all’iprite
fanno saltare con i lanciafiamme
bravi cristiani che fanno le ferite
nel sacro cuore di tutte le mamme

di mezzo migliaio di monaci copti
di mezzo milione di negri ammazzati
butta la pasta che sono tutti morti
faccetta nera ora è cotta e mangiata

abbiamo fatto solo un po’ di Ambaradan
poi siamo tornati immemori e vivi
a scrivere il mito dei bravi italiani
che sono più inetti non meno cattivi

Ambaradira ambaradura ambaradira ambaradura

Ambaradun ambaradiro ambaradan
ambaradun ambaradin banbero

Che cosa mai vorrà dire Ambaradan
colonialisti più buoni e più forti
abbiamo portato le strade nel deserto
per il grande viaggio di tutti quei morti

l’Ambaradan è la macchia dell’oblio
sul monumento a Rodolfo Graziani
sui gagliardetti di Nassirya
sono i due marò che fucilano gli indiani…

Post dal sito http://www.socialnews.it/blog/2011/01/02/ambaradan-la-memoria-corta-delloccidente/

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