Israele ruba il suolo ai palestinesi - Bartali giusto per Israele

Israele, via libera a 2200 nuovi alloggi per i coloni in Cisgiordania

Israele, via libera a 2200 nuovi alloggi per i coloni in Cisgiordania
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (reuters)
L'approvazione del progetto segue l'annuncio di elezioni anticipate ad aprile. Gli insediamenti nei Territori occupati sono uno dei cardini della politica del premier Benjamin Netanyahu
GERUSALEMME - Israele ha approvato i piani per la costruzione di circa 2.200 alloggi per coloni in Cisgiordania. Lo riferisce la ong Peace Now. Si tratta del primo via libera del genere da quando è stato annunciato che lo Stato ebraico andrà al voto anticipato il 9 aprile del 2019. Una commissione del ministero della Difesa con responsabilità per progetti di questo tipo ha approvato i piani martedì e mercoledì. Il governo del premier israelianoBenjamin Netanyahu si è accordato lunedì per sciogliere il Parlamento e indire elezioni anticipate per il 9 aprile. Gli insediamenti dei coloni giocano un ruolo centrale nelle politiche della destra israeliana.

Peace Now in un comunicato precisa che metà di questi progetti sono ancora in fase iniziale mentre l'altra metà sono già in una fase più avanzata. da parte ufficiale non si è ancora avuta conferma. Questa decisione, nota ancora Peace Now: "è stata cinicamente approvata nella giornata di Natale quando la maggior parte dei governi occidentali sono in festa. La cosa - secondo l'Ong - dimostra che il premier è pronto a sacrificare gli interessi di Israele a favore di un regalo elettorale ai coloni in un tentativo di raccogliere più voti che non altre componenti di destra del suo governo", che nelle prossime elezioni anticipate saranno in concorrenza con il Likud.

Netanyahu ha ricevuto nel proprio ufficio una ventina di sindaci di insediamenti ebraici della Cisgiordania. Alcuni altri hanno preferito però disertare l'incontro in un gesto di insoddisfazione per la sua politica di colonizzazione.
https://www.repubblica.it/esteri/2018/12/26/news/israele_via_libera_a_2200_nuovi_alloggi_per_i_coloni_in_gisgiordania-215191118/ Articolo del 26 dicembre 2018

Giro d’Italia 2018, Gino Bartali da oggi cittadino di Israele: con la sua bici salvò 800 ebrei durante la guerra

A due giorni dal via del Giro d’Italia a Gerusalemme, il riconoscimento postumo all’ex campione: trasportò documenti fondamentali per la fuga degli ebrei italiani all’estero



Oggi che il ricordo delle sue gesta atletiche immense si diluiscono nei decenni; che nuove imprese di altri fuoriclasse della bici si sedimentano sulle sue; che lo sport (come la società) cannibalizza, che cosa resta del campione? Di Gino Bartali da Firenze (1914-2000) rimane il ricordo dell’uomo. Innanzitutto. Prima ancora dei Tour e dei Giri vinti, delle rivalità con Coppi. Delle vittorie incredibili che scansano guerre civili. Finanche di quel «naso triste come una salita». Tortuoso e cadente come i tornanti di una sua qualsiasi via di fuga dal gruppo. Da oggi a Gerusalemme (dove venerdì 4 maggio partirà il Giro d’Italia) Ginettaccio è anche cittadino onorario d’Israele. Nuovo riconoscimento — conferito postumo — al coraggio di un campione umile e intelligente. Che ha saputo, con la «sbeffeggiante» ironia e la furbizia di certi italiani dal cuore grande, mettere la propria fama sportiva al servizio di una causa talmente importante da renderlo — anche suo malgrado — un eroe vero. Da libri di storia. Una causa che ha aiutato centinaia di ebrei a sopravvivere. Affrontata e vinta con la sola forza di quei polpacci venosi, di una maglietta madida e la solita (eterna) bicicletta. Fra «machine pistol» spianate, bombe, macerie. Vittime e carnefici.

Già «Giusto tra le Nazioni»
Bartali è stato nominato «Giusto tra le nazioni» già nel 2013, per aver contribuito a salvare circa 800 cittadini italiani ebrei. In anni in cui il territorio toscano era devastato dalla guerra e con la scusa degli allenamenti, «Ginettaccio» nascondeva nel telaio della sua bicicletta documenti fondamentali per gli israeliti fiorentini che cercavano di sfuggire alle deportazioni. Contattato dalla Curia di Firenze, il campione si era reso disponibile a diventare una «staffetta» su richiesta diretta del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa. Se fosse stato scoperto? Avrebbe fatto la fine di tanti altri eroi: sarebbe stato ucciso o deportato. Probabilmente senza nemmeno un processo. Sicuramente la sua fama non lo avrebbe salvato.

La cittadinanza
«La legge sui Giusti delle nazioni consente allo Yad Vashem (Ente nazionale per la Memoria della Shoah, ndr) la prerogativa di conferire anche, in casi particolari, una cittadinanza onoraria di Israele a chi fosse ancora in vita; oppure postuma ai suoi congiunti. Una procedura molto rara e che viene usata con il contagocce», aveva annunciato pochi giorni fa il portavoce dello Yad Vashem Simmy Allen. Il gesto ha un doppio significato: quest’anno il Giro d’Italia parte da Israele per commemorare i 70 anni della nascita dello Stato ebraico.

In missione sulla Firenze-Assisi
Della reale dinamica delle missioni-salvifiche di Bartali si sa che, tra l’ottobre del 1943 e il giugno del 1944, in più di trentacinque casi Ginettaccio si era esposto. Fingeva di allenarsi, percorrendo sulla sua bici la tratta Firenze-Assisi (circa 350 km fra andata e ritorno). Nella cittadina di San Francesco s’incontrava con padre Rufino Niccacci, li i documenti falsificati, che consentivano agli ebrei di lasciare l’Italia, venivano stampati in una tipografia attigua alla cattedrale. Bartali quindi aveva il compito di trasportarli a Firenze: dentro il manubrio, nella canna o nel sellino della bici. Al ritorno, dalle parti di Reggello lo attendeva un calzolaio, ufficialmente per rifornirlo e rifocillarlo, in realtà per informarlo sui posti di blocco nazifascisti. A Terontola, invece, pare andasse in scena una vera e proprio commedia. Il titolare di un bar alimentava una vera e propria gazzarra festante per omaggiare il campione in transito. In realtà per dissipare dubbi e sospetti da parte dei funzionari-Ovra (polizia segreta fascista). Loro da tempo «osservavano» Ginettacio.

L’essenza del campione-eroe
Per decenni il rivale di Fausto Coppi, quell’ex supercampione che, una volta ritirato, si aggirava sui palchi di ogni tappa del Giro d’Italia lanciando giudizi competenti (e sferzanti) con la sua voce roca, non raccontò mai nulla di questi atti di eroismo. Solo marginalmente, qualcosa cominciò a trapelare negli ultimi lustri della sua vita. Poi, anni dopo la sua morte, la storia venne a galla nella sua interezza. Per anni l’unico a sapere fu il figlio Andrea: «Io ho combattuto la mia guerra così — gli aveva detto papà Gino — e non voglio che si sappia niente».

L’arresto
«Mi hanno fermato più volte — confidò un giorno al figlio — e una volta anche arrestato». Nell’autunno del 1943, in particolare, Ginettaccio venne trattenuto dalla polizia fascista; a Firenze dettava legge il feroce comandante Mario Carità. Fu interrogato e messo sotto pressione, ma a nessuno venne in mente di ispezionare la sua bicicletta. E Bartali la scampò. Carità – a dispetto del suo nome – è oggi ricordato come persecutore (assassino e torturatore) di partigiani toscani ed ebrei.
https://www.corriere.it/sport/18_maggio_02/bartali-cittadino-israele-la-sua-bici-salvo-800-ebrei-la-guerra-61f92496-4e07-11e8-98a3-3b5657755c11.shtml
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Quando i fascisti lo convocano, quel giorno, Gino Bartali ha paura.
Ma non può non andare, sanno dove abita, ha un bimbo piccolo.

Non che non lo abbiano mai controllato, dopo lo scoppio della guerra: durante gli allenamenti tra Firenze e Assisi era facilissimo che lo fermassero. Ma ogni volta che vedevano la sua faccia e riconoscevano il campione già vincitore del Giro d'Italia e del Tour de France e della Milano Sanremo e di tante altre gare, tutto filava liscio.
Quel giorno è diverso, perché lo hanno convocato a Villa Triste, come è soprannominato il palazzo dove è alloggiata la Banda Carità che lo cerca.
La banda, che prende il nome dal comandante Mario Carità, è una delle più crudeli formazioni fasciste, specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro i gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti.
Villa Triste è famosa per le grida che provengono dalle vittime che i fascisti torturano.
A volte, dalle sue stanze, arriva la musica di un pianoforte, suonato per coprire le urla dei poveretti.
Appena arriva, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero quanto ha sentito dire: vede esposte armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano.
Anche Gino, un uomo durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato.
"Erano tempi in cui la vita non costava niente. Era appesa a un filo, al caso, agli umori degli altri", dirà.
E la sua vita, quel giorno, è appesa agli umori del terribile Mario Carità.
Il gerarca ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
Le lettere sono lì, sul tavolo.
“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?"
“Io nemmeno so sparare!".
"E allora ha portato altre cose! Lo confessi".
"Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi".
"E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?".
“Questa è la verità" insiste Bartali.
Carità lo fissa con i suoi occhi da rettile.
"Vediamo se in cella si schiarisce le idee".
Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L'aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda.
"Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?".
Gino insiste: "Caffè, farina e zucchero".
Carità perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.
“Conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.
Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce tutto intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che pensava di conoscerlo così bene.
Ma sbagliava, perché Gino ha mentito.
Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi per cui il Vaticano lo ringrazia.
Per tutto il tempo in cui ha corso lungo la Firenze – Assisi, nel telaio della bicicletta cui si accede staccando il sellino, Bartali ha nascosto fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare.
Lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che ha celebrato il suo matrimonio e che ha pensato a Bartali come unica possibilità di passare i controlli.
“Ma non devi dire nulla a nessuno, Gino! Nemmeno alla tua famiglia. O quelli ammazzano tutti”.
Non solo: ogni volta in cui arrivava un treno da Assisi su cui viaggiavano ebrei che volevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Gino è andato al bar della stazione ferroviaria. Lì si è fatto vedere bene da tutti, si è messo in mostra per i tifosi e il caos creato dalla sua presenza ha fatto sì che la polizia fascista e i soldati tedeschi non riuscissero a controllare bene i documenti e facessero passare un po’ tutti.
E poi ancora, altri viaggi in bici, fino a Genova e in Svizzera, per prendere lettere e denaro. Senza contare un’intera famiglia ebrea che è nascosta da un anno nella cantina di una sua casa.
In tutti questi modi, in quegli anni, Bartali ha salvato la vita a un numero imprecisato ed enorme di persone.
Gino, però, mantiene la promessa fatta al Cardinale; non racconta nulla a nessuno, nemmeno ad Adriana e Andrea, per proteggerli. E anche dopo, a guerra finita, tiene il segreto per sé, perché crede che “quando fai un favore ci pensi per una notte, ma te ne dimentichi il giorno dopo”.
Solo quando il padre è ormai molto vecchio, il figlio Andrea, che ha sentito girare alcune voci su questa storia, riesce a farsi spiegare dal babbo come sono andate le cose.
“Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh!” insiste il campione. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".
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Questo brano è un breve estratto di una delle storie incluse nel libro "Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo" (Rizzoli) uscito lo scorso settembre.
Lo trovate in libreria e qui.
https://www.ibs.it/abbiamo-toccato-stelle-storie-di-libro-riccardo-gazzaniga/e/9788817103268 

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