Quarant’anni di delitti, ricatti e trame occulte: la P2 è morta, ma il piduismo vive


L’Espresso 11 MARZO 2021

Quarant’anni di delitti, ricatti e trame occulte: la P2 è morta, ma il piduismo vive

La loggia segreta di Licio Gelli, scoperta il 17 marzo 1981, era uno Stato nello Stato: 962 massoni infiltrati in tutte le istituzioni. Dal crack Ambrosiano alla strage di Bologna, da Tangentopoli a Berlusconi, l’eredità nera di sistema che sopravvive al suo creatore e condiziona ancora la democrazia

di Paolo Biondani



La P2 sembra morta e sepolta, ma il piduismo vive ancora. Sono passati 40 anni dalla storica scoperta dell’elenco degli affiliati alla loggia massonica segreta di Licio Gelli. Un sistema di potere occulto che si era impadronito delle istituzioni. Lui, il grande burattinaio, non c’è più: è deceduto nel dicembre 2015 nella sua villa di Arezzo, libero da anni, nonostante svariate condanne per reati gravissimi. Con il marchio di organizzatore e principale beneficiario della rovinosa bancarotta dell’Ambrosiano. E di stratega dei depistaggi di Stato che hanno ostacolato le indagini sulla strage di Bologna, per favorire i neofascisti dei Nar. Oggi, certo, l’Italia è cambiata, non è più il paese del terrorismo e dei servizi deviati, della mafia padrona e delle banche criminali. Ma le reti di mutuo sostegno nate in quegli anni neri hanno continuato a condizionare la nostra democrazia. Con dinastie di piduisti rimasti in posizioni chiave, nella politica, nell’economia, nei media. Con strategie e parole d’ordine che restano le stesse di allora. Tra soldi spariti, complicità mai confessate, dossier e ricatti che funzionano ancora.


Quarant’anni fa, il 17 marzo 1981, inizia il declino della P2, non la sua sconfitta. Quel giorno viene perquisita a sorpresa la Giovane Lebole (Giole), nota azienda d’abbigliamento con sede a Castiglion Fibocchi. L’ordine è firmato da due giudici istruttori di Milano, Giuliano Turone e Gherardo Colombo. Indagano su due misfatti che si rivelano collegati: l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore delle banche private di Michele Sindona, e il finto sequestro dello stesso banchiere siciliano, incriminato per bancarotta fraudolenta in Italia e negli Usa. Questa genesi non va dimenticata: la loggia di Gelli viene smascherata dalle inchieste che portano alla condanna di Sindona, piduista, come mandante dell’omicidio dell’«eroe borghese» Ambrosoli. E che fanno emergere la complicità tra il banchiere e le famiglie italo-americane di Cosa Nostra, diventate ricchissime con il boom dei traffici di droga. Fuggito da New York nell’estate 1979, Sindona si rifugia in Sicilia, protetto dai boss palermitani. E per simulare di essere stato rapito da terroristi di sinistra, si fa sparare a una gamba da un medico massone. Che risulta in stretto contatto con Licio Gelli.

Turone e Colombo selezionano una squadra di finanziari incorruttibili e ordinano di perquisire, senza informare i superiori, quattro indirizzi. Nei tre ufficiali, compresa villa Wanda, non c’è niente d’importante. L’archivio segreto è nell’ufficio in uso a Gelli alla Giole. Nella cassaforte c’è una lista ordinata, con 962 nomi di affiliati alla misteriosa loggia massonica “Propaganda 2”. Ci sono quattro ministri, 44 parlamentari, tutti i capi dei servizi segreti, l’intero vertice della Guardia di finanza, decine di generali e colonnelli dei carabinieri, esercito, marina, aviazione. E poi prefetti, funzionari centrali e periferici, magistrati, banchieri, imprenditori, direttori di giornali. Una struttura segreta, con gradi e gerarchie, cementata dal vincolo massonico. Uno Stato nello Stato. Che obbedisce a Gelli.

I giudici milanesi si sentono in dovere di consegnare l’elenco al presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani. A riceverli a Roma è il suo capo di gabinetto: piduista anche lui. Il 20 maggio il premier democristiano è costretto a pubblicare la lista. Lo scandalo scuote l’Italia. Una settimana dopo, Forlani si dimette. Nasce il primo governo laico, guidato dal repubblicano Giovanni Spadolini. Il parlamento vara una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dall’ex partigiana bianca Tina Anselmi. Nel 1982 viene approvata una legge che vieta le associazioni segrete: mai più P2.

La commissione Anselmi, che ha poteri inquirenti, conclude la sua maxi-inchiesta stabilendo che la lista di Gelli è autentica e certifica vere affiliazioni, con riscontri oggettivi come i pagamenti delle quote d’iscrizione, versate su un deposito anonimo alla Banca Etruria. L’elenco però è incompleto: Gelli ha nascosto molte altre carte, centinaia di piduisti restano senza nome. Anche il livello superiore è oscuro. La relazione Anselmi usa la famosa metafora della clessidra: Gelli è al vertice della piramide visibile, ma è a sua volta controllato da strutture più potenti, rimaste occulte.

La svolta per la legalità, democrazia e trasparenza si esaurisce in pochi mesi. Già nell’estate 1981 la Cassazione strappa a Milano l’indagine giudiziaria sulla P2 e la trasferisce a Roma, dove viene insabbiata per tutto il decennio. I ministeri chiave avviano procedure amministrative che mettono in dubbio la lista sequestrata a Gelli, consentendo ai funzionari massoni di continuare a fare carriera. Caduto Spadolini, illustri piduisti tornano al potere. Il ministro del Bilancio del primo governo Craxi, ad esempio, è Pietro Longo (Psdi), passato alla storia come uno dei pochissimi politici italiani condannati per corruzione ancora prima di Tangentopoli.


Lo scandalo ha effetti profondi nella finanza e nei media, ma solo per ragioni economiche e giudiziarie, non per iniziative politiche. Il Banco Ambrosiano, motore del sistema, fallisce con perdite record per 1.193 miliardi di lire. Le sentenze spiegano che la banca cattolica guidata da Roberto Calvi (ucciso nel 1982 a Londra) era diventata la tesoreria occulta dei capi della P2. Ma anche la cassaforte estera dei fondi neri dello Ior, la banca vaticana, guidata da un cardinale americano che ottiene l’immunità diplomatica. Gelli e il suo braccio destro, Umberto Ortolani, vengono dichiarati colpevoli, in tutti i gradi di giudizio, per aver rubato montagne di soldi, usati tra l’altro per impadronirsi del gruppo Rizzoli-Corsera. Dopo l’arresto in Svizzera, Gelli risarcisce 300 milioni di dollari, ormai sequestrati. Mentre lo Ior ne rimborsa altri 250 «senza ammissioni di colpa».

Una società simbolo del sistema P2 è una offshore anonima, denominata Bellatrix: custodisce il pacchetto di controllo del Corriere della Sera, ma nessuno la rivendica, per non auto-accusarsi della bancarotta. A liquidarla sono i giudici di Milano che liberano la Rizzoli dalla P2. Calvi e Sindona furono due pionieri della finanza offshore, che oggi è una patologia mondiale.


Con lo scandalo P2 anche i vertici dei servizi segreti vengono spazzati via dalle indagini giudiziarie, quelle sul terrorismo di destra. Risultano piduisti, in particolare, tutti gli ufficiali condannati per aver depistato le inchieste sulle stragi nere, da Milano a Peteano, da Brescia a Bologna. Invece di contrastare il terrorismo, facevano scappare i ricercati con documenti falsi, distruggevano intercettazioni, nascondevano prove, pagavano i latitanti per farli tacere. Lo stesso Gelli è stato condannato come mandante del più spaventoso depistaggio di Stato: armi ed esplosivi nascosti dai militari piduisti del Sismi su un treno per Bologna.

La relazione Anselmi definisce la P2 «un’organizzazione criminale» con due fasi. La prima è «eversiva»: fino al 1974 Gelli arruola soprattutto militari di destra con tendenze golpiste. E ottiene coperture internazionali da un fronte anti-comunista che va dai servizi americani alla dittatura argentina. La linea cambia in coincidenza con la caduta di Nixon per lo scandalo Watergate. A partire dal 1976 nella P2 entrano imprenditori, politici, banchieri, funzionari, giornalisti. Ora l’obiettivo è conquistare il potere salvando le apparenze della democrazia, come nel «golpe bianco» progettato dal nobile piduista Edgardo Sogno.


Fuori dal perimetro dei processi penali, la P2 rinasce dalle sue ceneri. La relazione Anselmi cita Silvio Berlusconi (tessera 1816) come esempio di imprenditore favorito dalle banche controllate da piduisti, come Montepaschi e Bnl, «al di là di ogni merito creditizio». Lui smentisce (sbugiardato dalle sentenze) e negli anni Ottanta crea il suo impero televisivo, che sembra realizzare lo slogan del «piano di rinascita nazionale» sequestrato alla figlia di Gelli: «Dissolvere il monopolio pubblico in nome della libertà d’antenna». Il gruppo Fininvest accoglie molti ex affiliati, tra cui spicca Maurizio Costanzo, l’intervistatore ufficiale del «signor P2». A fare concorrenza alle tv private dovrebbe pensare la Rai, dove diventa presidente il socialista Enrico Manca: nella lista di Gelli c’era anche il suo nome, ma non si può scrivere che fosse piduista. A escluderlo è una sentenza romana firmata da Filippo Verde, un giudice che incassava soldi in Svizzera, poi assolto o prescritto da tutte le accuse. E la «prova a discarico» che scagiona Manca è una testimonianza orale di Costanzo. Che intanto ammette la propria iscrizione alla loggia segreta. Ed è tuttora il grande vecchio della televisione italiana, pubblica e privata.

Della P2 si torna a parlare con Tangentopoli. A partire dal 1992 le indagini sulla corruzione svelano il ruolo cruciale di molti piduisti. Come Duilio Poggiolini, corrottissimo capo della commissione farmaci. La maxi-inchiesta Mani Pulite comprova anche lo scandalo del Conto Protezione, descritto in uno dei dossier ricattatori sequestrati nel 1981 alla Giole: una tangente di 7 milioni di dollari, versati da una società estera dell’Ambrosiano a Bettino Craxi e Claudio Martelli, su un conto svizzero prestato dal faccendiere amico Silvano Larini. Soldi chiesti da Gelli a Calvi, che in cambio ottiene prestiti dall’Eni, smistati da un dirigente socialista e piduista, Leonardo Di Donna.

Nel processo simbolo per la maxi-tangente Enimont, invece, trova spazio un altro affiliato, Luigi Bisignani, scoperto a riciclare soldi della Montedison attraverso lo lor: la stessa banca vaticana del crack Ambrosiano. E di tanti scandali successivi, fino alle grandi pulizie ordinate da papa Francesco con la prima riforma anti-riciclaggio.


Nel 1994, con la nascita di Forza Italia e la vittoria di Berlusconi, Fini e Bossi, tornano al governo e in Parlamento schiere di reduci della P2: da Fabrizio Cicchitto ad Antonio Martino, Vito Napoli, Aventino Frau, Publio Fiori, Gustavo Selva. Mentre Massimo De Carolis (tessera 1815) diventa presidente del consiglio comunale di Milano, prima di dimettersi dopo una condanna per corruzione (tangenti sul depuratore, divise con altri ex piduisti).

Il ventennio berlusconiano è costellato di progetti di matrice piduista, di cui Gelli rivendica la paternità in un’intervista a Repubblica: leaderismo e presidenzialismo, riduzione del peso dei partiti, separazione delle carriere tra giudici e pm, attacchi ai magistrati «comunisti». Da allora, nei palazzi del potere, riemergono figure intramontabili: da Vittorio Emanuele di Savoia, riaccolto in Italia con una modifica della Costituzione, a Gian Carlo Elia Valori, il super dirigente pubblico che fu espulso dalla P2 perché faceva concorrenza a Gelli. Mentre Flavio Carboni, il faccendiere condannato per l’Ambrosiano, torna agli arresti con la cosiddetta P3 (tangenti sull’energia eolica, gestite da massoni sardi). E l’eterno Bisignani è tuttora sotto processo a Milano per corruzione, dopo essere stato intercettato con l’amico manager Paolo Scaroni mentre trattava affari con l’Eni in Nigeria e dispensava consigli a ministri.


Per completare il quadro, si potrebbero citare le straordinarie posizioni di potere conquistate, anche in tempi recentissimi, dai figli ed eredi di numerosi piduisti, che però hanno diritto di non rispondere delle colpe dei padri. Per misurare la forza persistente dei legami di loggia, piuttosto, basta studiare le nuove indagini della procura generale di Bologna, che accusa Gelli e Ortolani di essere stati i «mandanti e finanziatori» dell’orrenda strage del 2 agosto 1980. Quarant’anni dopo, la ricerca di verità e giustizia continua a scontrarsi con reticenze di ex ufficiali dei servizi, documenti spariti, menzogne depistanti, mediatori che non ricordano a chi hanno consegnato valigie di soldi della P2, complicità inconfessabili.

Un caso esemplare è l’interrogatorio di un generale che ha comandato il centro Sid di Padova, una roccaforte della P2. I magistrati di Bologna gli contestano che, nel luglio 1980, aveva ricevuto «il preannuncio della strage» da un giudice anti-terrorismo, Giovanni Tamburino, allertato da un detenuto di destra (poi pestato a sangue). Il generale ha 90 anni, è malato. I magistrati gli mostrano le carte dell’epoca firmate da Tamburino, ma lui nega perfino l’evidenza dell’incontro. E piuttosto di parlare, sceglie di affrontare, poco prima di morire, un’accusa infamante di falsa testimonianza sulla strage. L’ombra della P2 si allunga su molti altri delitti politici irrisolti, dall’omicidio Pecorelli all’assassinio di Piersanti Mattarella. L’ex giudice Giuliano Turone, oggi, commenta: «La P2 fa ancora paura».

Fonte: Quarant’anni di delitti, ricatti e trame occulte: la P2 è morta, ma il piduismo vive - Antonino Caponnetto ODVAntonino Caponnetto ODV (comitato-antimafia-lt.org)

17 SETTEMBRE 2021

Pubblichiamo a partire da oggi alcuni stralci — selezionati per rilevanza dei ruoli pubblici — degli interrogatori resi davanti ai pm della Procura di Milano, Laura Pedio e Paolo Storari, da Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, già condannato per corruzione e ora indagato a Perugia per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete.

6 dicembre 2019

Amara: (…) Devo fare una premessa: io facevo parte di una loggia massonica coperta, formata da persone che io ho incontrato attraverso persone di origine messinese dove questa loggia è particolarmente forte. Mi ha introdotto Gianni Tinebra, magistrato con cui avevo ottimi rapporti. Attraverso questa loggia denominata “Ungheria” ho conosciuto Michele Vietti e tale Enrico Caratozzolo, avvocato di Messina; il capo della cellula messinese per quanto mi dissero Tinebra, Vietti e Caratozzolo era Giancarlo Elia Valori. Della cellula “Ungheria” fa parte anche la dottoressa Lucia Lotti (magistrato a Roma, ndr).

(…)

Fu Vietti a mandarmi Saluzzo (Francesco, ndr) a Roma. Io già sapevo che faceva parte dell’associazione Ungheria e comunque tale circostanza mi fu confermata dal modo in cui mi salutò premendomi il dito indice tre volte sul polso mentre mi stringeva la mano. L’incontro fu organizzato a casa di un imprenditore, di cui non ricordo il nome, amico di Antonio Serrao, detto Tonino, all’epoca direttore generale del Consiglio di Stato e anch’egli partecipe di “Ungheria”. L’incontro avvenne un paio di mesi prima rispetto alla nomina di Saluzzo a Procuratore Generale di Torino, il colloquio fu estremamente chiaro: Saluzzo mi disse che aveva già parlato con Cosimo Ferri ottenendo la disponibilità di MI, mentre aveva dei problemi con la componente laica del Pd e gli serviva un intervento forte di Luca Lotti. Da parte mia io non chiesi nulla di particolare a Saluzzo, ma una sua messa a disposizione qualora ve ne fosse stato bisogno. Preciso che non ho mai chiesto nulla a Saluzzo tranne che in un’occasione: andai da lui per preannunciargli la visita della compagna di Bigotti, tale Barbara Bonino, la quale aveva un’udienza di separazione col suo ex marito. Questa signora poi effettivamente andò da Saluzzo e lui fu cordiale con lei. Naturalmente io rappresentai a Lotti il mio interesse per la nomina di Saluzzo nel corso di un colloquio intervenuto tra di noi vicino piazza di Spagna di fronte al Gregory Jazz Pub.

(…)

Premetto che in altri casi Vietti, in funzione di sue esigenze a me non note, mi chiese di far guadagnare denaro ad avvocati o professionisti a lui vicini e avvenne in quel periodo anche con l’avvocato Conte, oggi presidente del Consiglio, a cui facemmo conferire un incarico dalla società Acquamarcia S.p.A. di Roma, incarico che fu conferito a lui e al professor Alpa, grazie al mio intervento su Fabrizio Centofanti, che all’epoca era responsabile delle relazioni istituzionali di Acquamarcia. L’importo che fu corrisposto da Acquamarcia ad Alpa e Conte, era di 400 mila euro a Conte e di 1 milione di euro ad Alpa. Questo l’ho saputo da Centofanti che si arrabbiò molto perché il lavoro era sostanzialmente inutile, trattandosi della rivisitazione del contenzioso della società, attività che fu svolta da due ragazze in poche ore, e l’importo corrisposto fu particolarmente elevato.

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Aggiungo che l’avvocato Paola Severino è nella lista delle persone appartenenti a “Ungheria”.

(…)

Domanda dei pm: Le vicende che sono descritte nell’appunto cosiddetto “Keepwild” sono riconducibili ai suoi rapporti con l’associazione “Ungheria”?

Amara: Non tutte. Certamente sono legati a “Ungheria” Andrea Gemma (professore, avvocato, già nel cda Eni, ndr), Antonino Serrao e il Generale Toschi (Giorgio, ex comandante generale Gdf, ndr).

Domanda dei pm: Quali altre persone legate alla vicenda Eni fanno parte di “Ungheria”?

Amara: Ne fanno parte Fabrizio Siggiae ne faceva parte Vincenzo Armanna (ex dirigente Eni, ndr) fino a quando non è stato “posato”. Fu Bisignani, che fa parte anche lui di “Ungheria”, che chiese di ‘posare’ Armanna. Mi chiedete quando sia accaduto e lo colloco nel 2015. La vicenda Eni ha avuto una rilevanza, ma c’erano anche altre relazioni tra di loro che hanno avuto peso maggiore.

(…)

De Ficchy che era persona alla quale io potevo arrivare perché faceva parte dell’associazione “Ungheria”.

(…)

Domanda dei pm: Che rapporti vi sono tra la circostanza di cui ha riferito ieri attinenti alla nomina del Procuratore di Milano e l’eventuale operatività di “Ungheria”?

Amara: Sì, nel senso che la rete relazionale di “Ungheria” fu utilizzata per condizionare la nomina del Procuratore di Milano. Come vi ho detto, si sollecitarono candidature di persone amiche o alle quali si poteva in qualche modo accedere, tra cui come ho detto tale Amato (Giuseppe, ndr), che però non fa parte dell’associazione. Amato fu invitato a presentare la candidatura da Ferri e Palamara. Ferri ricopre un incarico molto importante in Ungheria.

Domanda dei pm: Chi aderisce all’associazione “Ungheria”?

Amara: Magistrati, Forze dell’Ordine, alti dirigenti dello Stato e alcuni imprenditori. Conservo una lista di circa 40 persone.

14 dicembre 2019

Domanda dei pm: Nel precedente interrogatorio del 06.12.2019 ha fatto riferimento a quella che Lei ha definito una loggia massonica coperta denominata “Ungheria” della quale Lei stesso fa parte insieme ad altri esponenti della magistratura, del mondo politico, dell’imprenditoria, delle forze dell’ordine, dell’avvocatura. Ci può spiegare in quale momento è entrato a far parte in questo gruppo, in che modo, tramite chi?

Amara: Per rispondere a questa domanda devo prima riferire il contesto nel quale è nata la mia partecipazione all’associazione. A partire dal 2005 ho frequentato con una certa assiduità l’O.P.C.O. (Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata) nel quale mi coinvolse Gianni Tinebra, all’epoca procuratore a Caltanissetta. Avevo conosciuto Tinebra attraverso Carola Parano (Direttrice dell’Opco) e Giuseppe Toscano (procuratore aggiunto di Siracusa).

(…)

Ho svolto la mia attività nell’ambito dell’Opco, dedicandomi all’organizzazione di convegni e di studi in materia di criminalità organizzata e sono stato particolarmente apprezzato da Gianni Tinebra il quale – a un certo punto – ritenne che avessi le caratteristiche per essere introdotto in un gruppo più ristretto di persone che condividevano gli ideali dello Stato liberale e che erano legati da un vincolo di solidarietà, amicizia e disponibilità, rappresentandomi che nel corso della mia vita questo mi sarebbe stato molto utile. Sottolineo la frase di “Stato liberale” perché questa mi fu più volte rimarcata in quanto il gruppo si proponeva di affermare i principi di uno Stato garantista contro quella che appariva già all’epoca una deriva giustizialista, quello che poi nel tempo mi fu rappresentato essere lo spirito della corrente della magistratura denominata “Magistratura Indipendente”, molti esponenti della quale fanno parte di Ungheria. Mi rendo conto che questa tuttavia era una foglia di fico, in quanto il gruppo si è risolto in un sostanziale scambio di favori. Per quello che io ho potuto vedere, questo gruppo ha rappresentato e rappresenta quello che definirei una sorta di contropotere, a volte anche più forte della politica. Con questa espressione intendo fare riferimento al fatto che il gruppo è in grado collocare persone di sua fiducia in posti chiave, soprattutto ai vertici delle forze dell’ordine e della magistratura, e che le nomine di queste persone vicine al gruppo vengono decise in luoghi diversi da quelli istituzionali. Ricordo, per esempio, che in occasione della nomina del procuratore di Firenze, a me fu fatto il nome di tale Leonida Primicerio da un generale della Guardia di finanza, tale Genzano. Presentai questo magistrato a Luca Lotti, indicandolo come magistrato a sua totale disposizione: vi riferisco come prove di questo che egli durante il mio colloquio con Lotti rimase appostato dietro una macchina in attesa di essere chiamato. Lotti aderì alla mia richiesta, ma tuttavia non riuscì a far nominare Primicerio in quanto Michele Vietti (aderente al gruppo Ungheria) impose la nomina di Creazzo. Tale circostanza, cioè dell’interesse e della volontà di nominare Creazzo, fu da me direttamente verificata con Vietti.

(…)
Tornando al mio ingresso in Ungheria, ricordo che Gianni Tinebra organizzò una cena di presentazione presso la sede di Opco, servita da un catering a Siracusa. Alla cena parteciparono oltre a me e Tinebra, Alessandro Centonze (sostituto procuratore della Dda di Catania), Sebastiano Ardita (sostituto procuratore a Catania), Giuseppe Toscano (procuratore aggiunto a Siracusa), il figlio Attilio Toscano (professore associato di Diritto amministrativo a Catania). Doveva partecipare alla cena anche Giuseppe Zafarana , all’epoca, mi pare, con il grado di colonnello della Guardia di finanza, che poi invece non venne. Ho poi saputo a proposito di Zafarana che era entrato in Ungheria presentato da Giuseppe Toscano. La cena si è svolta tra il 2006 e il 2007

(…).
Tinebra poi mi disse che aderivano alla associazione anche i magistrati Franco Cassata (Procuratore Generale a Messina), Fazio (presidente della Corte d’Appello di Messina) e Francesco Paolo Giordano (sostituto procuratore a Caltanissetta). Ricordo tra gli episodi nei quali un associato è stato obbligato a fare qualcosa che in condizione di libertà forse non avrebbe fatto, quanto mi riferì Alessandro Centonze. All’epoca Tinebra (procuratore a Caltanissetta) voleva che fosse richiesta l’archiviazione di un procedimento a carico di Silvio Berlusconi. Il Sostituto che aveva in carico quel fascicolo era Alessandro Centonze il quale non voleva chiedere l’archiviazione, ma fu costretto a farlo in virtù del vincolo associativo come lui stesso mi disse.

(…)

La gestione complessiva delle vicende processuali di Silvio Berlusconi a Caltanissetta portò Tinebra a essere nominato responsabile del Dap, come lui stesso mi disse.
(…)

Nel 2009 Tinebra mi presentò Michele Vietti. L’incontro avvenne in occasione di un convegno organizzato a Siracusa da una organizzazione culturale – che mi riservo di indicare sia quanto a nome che a date –. Vietti mi fu presentato nel corso di un incontro privato tra me, lui e Tinebra in corso Gelone a Siracusa (presso un bar), Tinebra volle presentare me a Vietti come persona di sua fiducia. In quella occasione mi dissero che i promotori dell’associazione erano – oltre a loro due – Enrico Caratozzolo e Giancarlo Elia Valori. Mi dissero che loro quattro, oltre che essere promotori di Ungheria, erano anche massoni e mi spiegarono che non c’era coincidenza necessaria tra l’appartenenza alla massoneria e all’associazione Ungheria, tuttavia circa l’80% degli aderenti alla massoneria. Quanto a Caratozzolo, mi dissero che egli nonostante la giovane età, era particolarmente importante, anche in ragione di un consolidato rapporto tra suo padre e Michele Vietti, entrambi massoni. Sempre in quella occasione, mi riferirono che Giancarlo Elia Valori era il capo di Ungheria.
(…)

Domanda dei pm: Lei ha avuto rapporti diretti con la Severino che attestassero la partecipazione di quest’ultima a Ungheria?
Amara: No, non ho avuto rapporti diretti con lei su questo tema. Faccio però presente che Paola Severino è presente nella lista degli appartenenti a Ungheria e – come ho già detto – la sua partecipazione mi è stata riferita chiaramente da Michele Vietti. Ho avuto una sola interlocuzione con la Severino nell’ambito della mia attività di legale nominato dalla struttura commissariale dell’Ilva. In particolare abbiamo avuto una conference call di coordinamento in quanto la Severino seguiva le vicende Ilva milanesi. Questo è avvenuto nel 2016.
(…)

Domanda dei pm: Ci descriva cosa è accaduto dopo che Lei si è manifestato con Verdini.
Amara: Il rapporto con Verdini, a differenza di quello con Vietti, è stato caratterizzato da grande confidenza e Verdini mi ha presentato diverse persone che appartengono all’associazione. Innanzitutto, Cosimo Ferri, che io già sapevo essere legato a Ungheria, perché me lo avevano detto sia Tinebra che Ardita. Oltre a Cosimo Ferri mi furono indicati come esponenti di Ungheria i magistrati Pontecorvo e Racanelli, entrambi hanno fatto parte del Csm. Ricordo in particolare un incontro avvenuto tra me, Ferri, Pontecorvo, Racanelli e Verdini all’interno della Galleria Alberto Sordi a Roma. In quell’incontro, io sapevo già che eravamo tutti legati a Ungheria e comunque il tenore della conversazione non lasciò equivoci sulla comune appartenenza. Da Verdini ho saputo dell’appartenenza alla associazione del generale Toschi della Guardia di Finanza, del generale Del Sette dei Carabinieri e del generale Saltalamacchia dei Carabinieri. (…) Da Verdini ho appreso anche che Luigi Bisignani è un appartenente di Ungheria e lo stesso mi disse Michele Vietti. Con Bisignani ho avuto anche rapporti diretti.

(…)

Sempre Verdini mi disse che Filippo Patroni Griffi, già presidente del Consiglio di Stato, era un appartenente. Patroni griffi mi fu presentato da Luigi Caruso (vicepresidente della Corte di Conti) anch’egli appartenente a Ungheria. Così come Pasquale Squitieri (già presidente della Corte dei Conti).

15 dicembre 2019

(…) A settembre 2014 si è insediato il nuovo Csm sul quale, come ho detto, l’associazione Ungheria-Magistratura Indipendente aveva un potere assoluto. Il potere di Ungheria sul Csm si sviluppava secondo il seguente schema: all’apice c’erano Cosimo Ferri e Michele Vietti. Il primo, leader assoluto di Magistratura Indipendente, e il secondo all’apice dell’associazione Ungheria. Cosimo Ferri controllava Luca Palamara, membro del Csm e leader di Unicost. All’interno del Csm il vicepresidente Giovanni Legnini era stato affiliato (nel nostro gergo l’espressione “fatto” o “sverginato”’) a Ungheria da Pasquale Dell’Aversana. Facevano parte ancora di Ungheria i seguenti membri del Consiglio Superiore della Magistratura: Lorenzo Pontecorvo, Antonio Leone, Giorgio Santacroce, Paola Balducci (…), Claudio Galoppi, Pasquale Paolo Maria Ciccolo, Vincenzo Carbone e Giovanni Canzio. Altri componenti del Csm, pur non essendo aderenti all’associazione Ungheria erano purtuttavia controllabili e in particolare Giuseppe Fanfani (direttamente da Lotti e Maria Elena Boschi), Maria Rosaria San Giorgio e Riccardo Fuzio (controllati da Luca Palamara), Luca Forteleoni (direttamente controllato da Ferri).
Un ruolo molto importante nelle decisioni che assumeva il Csm lo aveva Angelantonio Racanelli, allora segretario di Magistratura Indipendente.

(…).

16 dicembre 2019

Domanda dei pm: Lei ha riferito di un suo coinvolgimento come associato di Ungheria nella nomina del Procuratore di Milano nel 2016: ci può riferire che attività ha svolto in questa vicenda?
Amara: La nomina del Procuratore di Milano è stata una delle vicende per le quali mi sono impegnato come associato di Ungheria nell’interesse di Eni. Il mio impegno in questa operazione è stato inteso in quanto l’Eni era fortemente interessata ad avere un procuratore di Milano controllabile e soprattutto che potesse “contenere” l’attività investigativa che De Pasquale da anni svolgeva nei confronti di Eni.
La decisione di attivarmi per condizionare la nomina nacque nell’ambito di una interlocuzione continua che avevo con Claudio Granata. Come ho riferito in un precedente interrogatorio, quando il mio rapporto con Granata si è consolidato nel 2014, abbiamo cominciato a ragionare sulla possibilità di creare un certo consenso intorno all’Eni e in particolare di “sensibilizzare” uffici giudiziari, forze dell’ordine e in generale l’opinione pubblica sull’importanza delle attività svolte dall’Eni all’estero. L’obiettivo, poi, in verità, soprattutto nella vicenda milanese, è stato quello di prendere possesso della Procura.
(…)
La candidatura di Greco apparve da subito molto forte e difficile da superare. La scelta di Amato era funzionale allo scopo e cioè di avere un Procuratore gestibile. Amato accettò di presentare la domanda consapevole che – nel caso di nomina – avrebbe dovuto essere disponibile. I tempi furono piuttosto lunghi, per quello che ricordo, e il progetto non andò in portò. La ragione per cui non andò in porto è che la candidatura di Greco era oggettivamente difficile da superare e poi lo stesso Palamara non era interessato in via diretta alla Procura di Milano. Ciò, unitamente alle difficoltà che incontrava all’interno della sua corrente, determinò il fallimento del progetto.

11 gennaio 2020

Domanda dei pm: Vi sono prelati appartenenti all’associazione Ungheria?
Amara: Ho letto nella lista di Caruso tre nomi: Vescovo (o monsignor) Adreatta, Monsignor Rocco Palmieri, Cardinale Parolin (Segretario di Stato di Sua Santità). Non conosco personalmente queste tre persone.
Domanda dei pm: Ci sono degli imprenditori appartenenti a Ungheria?
Amara: Bazoli, la mia fonte è la lista; Antonello Montante che io ho conosciuto circa nel 2007/2008 attraverso il Generale della Gdf Carmine Canonico. L’appartenenza di Montante a Ungheria mi è stata riferita direttamente da Gianni Tinebra e dallo stesso Montante. L’occasione fu quella in cui sia Tinebra che Montante cercarono di far desistere il pubblico ministero Musco dal coltivare iniziative processuali nei confronti di aziende facenti capo a Emma Mercegaglia. Fusillo è un imprenditore pugliese che ho conosciuto e che ho incontrato a Roma. Mi sono presentato a Fusillo con le modalità “Ungheria”, non ricordo chi me lo ha mandato; probabilmente un comune amico.
Iacobini padre e figlio (entrambi coinvolti nell’attuale vicenda della Banca Popolare di Bari). Ho incontrato il figlio di Iacobini nel 2015 a Roma in un bar di via Barberini. Iacobini mi fu mandato da Filippo Paradiso, era Iacobini che sapeva che io partecipavo a Ungheria. Iacobini venne da me in quanto aveva necessità di un contatto con Luca Lotti per ottenere l’approvazione di un decreto legge che riguardava le banche popolari. Non conosco e né ricordo il contenuto di tale decreto. Ne parlai con Bacci e Lotti e organizzai poi un incontro con Bacci e Iacobini nello stesso bar di via Barberini. In quella occasione Bacci disse che il decreto poteva essere approvato, ma che doveva essere firmato un contratto di consulenza tra Iacobini e Bacci o società da lui indicate prima dell’approvazione del decreto e con pagamento dopo l’approvazione. So che il contratto è stato formalizzato, ma poi non ho più seguito la vicenda, Iacobini mi rappresentò che c’era un forte ritardo nell’approvazione del decreto.
De Benedetti è un nome che ho letto nella lista di Caruso. “B.B.” è una sigla che era riportata nella lista e che secondo Caruso era riferibile a Silvio Berlusconi.

Le reazioni dei personaggi citati

L’Eni, in merito ai verbali di Amara, precisa che “è oramai provato in numerosi atti e documenti a disposizione della magistratura e disponibili in molteplici sedi che Piero Amara, nelle iniziative intraprese a Trani e Siracusa, perseguisse interessi propri e di propri sodali ed ex-dirigenti di Eni a fini squisitamente economici e di potere interno. Mai e poi mai Piero Amara ha ricevuto da Eni “mandati occulti” di interferire con il corso della giustizia. E’ assolutamente falso (oltre che risibile) che Eni potesse essere interessata alla nomina di un Procuratore di Milano “controllabile” orientato a “contenere” l’attività investigativa del Dr De Pasquale: Eni rispetta e nutre fiducia nell’operato della magistratura con cui notoriamente collabora proattivamente in sede di indagine e, quando a giudizio, si difende nelle sedi opportune con la forze delle proprie ragioni e della correttezza del proprio agire (più volte riconosciute anche in via definitiva dai tribunali). Qualunque azione possa aver compiuto Piero Amara in questo senso è imputabile a lui ed ai suoi sodali. Ricordiamo che le indagini e il processo sulle vicende Eni-Nigeria sono durate anni, senza alcun contenimento, e che hanno portato a un’assoluzione di Eni e dei suoi manager perché il fatto non sussiste.

“Sono false e prive di fondamento le dichiarazioni rese da Piero Amara sull’”interlocuzione continua” con Claudio Granata, che non si è mai verificata, così come l’accordo tra le due parti descritto da Amara, inesistente, che sarebbe stato volto a creare consenso sulle attività di Eni e a “prendere possesso della Procura”. “Piero Amara – prosegue l’Eni – è stato denunciato da anni (e ben prima che Amara rendesse le sue dichiarazioni di fine 2019/inizio 2020) da Eni e da suoi manager, compreso Claudio Granata, per le dichiarazioni calunniose rese in più ambiti di indagine. Eni ed i suoi manager attendono da tempo gli esiti delle indagini a carico di Amara e faranno valere nelle sedi di giurisdizione le proprie ragioni come parti offese. Nel frattempo, come noto, Eni ha promosso sin da luglio 2019 causa civile conto Piero Amara per i danni alla propria reputazione, causa che è tuttora in corso”.

Paola Balducci, ex del Csm: “In relazione alle dichiarazioni farneticanti rese dall’Avv. Amara e pubblicate da ieri sui quotidiani nazionali circa una mia presunta partecipazione ad una presunta loggia denominata Ungheria, ho già dato mandato ai miei legali al fine di presentare denuncia per calunnia”.

L’avvocato Carlo Taormina, difensore di Antonello Montante, afferma invece: “Con riferimento alla notizia pubblicata dal Fatto secondo la quale dai verbali e interrogatorio dell’Avv. Piero Amara, risulterebbe che il dichiarante avrebbe indicato Antonello Montante, ex Presidente di Confindustria Sicilia e Vice Presidente di Confindustria Nazionale, come appartenente alla cosiddetta “Loggia Ungheria”, rappresento, in nome e per conto del predetto, che egli non ha mai avuto modo di conoscere l’Avvocato Amara, non sa di cosa si tratti quando si fa riferimento alla “Loggia Ungheria”, respinge ogni possibile insinuazione e chiede che della presente missiva sia dato conto nel giornale da Lei diretto”.

Luca Lotti afferma: “Ho già querelato l’Avv. Piero Amara con richiesta di risarcimento danni in sede civile per le dichiarazioni rilasciate in tv lo scorso 27 maggio 2021: fatto questo a suo tempo riportato da agenzie di stampa e da altri organi di informazione. Leggo sul vostro giornale altre affermazioni dell’Avv. Amara su di me totalmente inventate e prive di ogni fondamento che infangano il mio nome e il mio onore: motivo per cui stamattina ho depositato una seconda querela. Faccio inoltre notare che insieme ai fantasiosi contenuti dei verbali pubblicati oggi, per correttezza e completezza di informazione nei confronti dei lettori, sarebbe stato utile ricordare la mia precedente querela”.

Giuseppe Amato, Procuratore della Repubblica di Bologna, scrive: “Con riferimento alle notizie apparse sul Fatto quotidiano del 17 settembre 2021, in particolare alle dichiarazioni dell’avvocato Amara gravemente diffamatorie e grossolanamente calunniose, rendo noto di avere già dato mandato al mio difensore di fiducia di querelare l’avvocato Amara e di valutare ogni azione a tutela della mia reputazione, così gravemente ed ingiustificatamente lesa, in ogni sede di competenza, anche a carico di chi abbia contribuito a divulgare le suddette dichiarazioni”.

Mentre secondo il generale Giuseppe Zafarana “le dichiarazioni dell’Avv. Piero Amara riportate da alcuni organi di informazione circa una presunta appartenenza del sottoscritto e del mio predecessore, Generale Giorgio Toschi, alla cosiddetta “loggia Ungheria” sono prive di qualsiasi fondamento. Di fronte alle calunniose affermazioni rese dall’Avv. Piero Amara ai magistrati, divenute oggetto di ampia divulgazione, con profonda amarezza sono costretto a dover rendere una pubblica dichiarazione che mai avrei immaginato di dover fare nella mia vita. Non ho mai aderito ad associazioni di alcun genere, tantomeno di natura segreta. Non soltanto non ho mai aderito, ma neppure ho mai lontanamente pensato di poterlo fare, in quanto una tale iniziativa sarebbe del tutto estranea al mio stile di vita, ai valori in cui credo e alla mia etica di comportamento”.

“Ho giurato fedeltà solamente una volta – prosegue il generale Zafarana – e l’ho fatto verso la Repubblica e la sua Costituzione! Non ho mai conosciuto l’avvocato Piero Amara, né il dott. Giuseppe Toscano; tantomeno ho mai avuto conoscenza dell’associazione OPCO. Ho appreso dell’esistenza dell’avvocato Amara solo nei primi mesi del 2017, allorquando, da Capo di Stato Maggiore del Comando Generale, fui interessato da parte della Procura della Repubblica di Roma e della competente linea gerarchica del reparto operante in ordine alle esigenze organizzative connesse alle investigazioni che lo riguardavano. Come sempre si è fatto per far fronte ai contesti investigativi più delicati nei quali la Guardia di Finanza è chiamata a dare il proprio contributo alle Procure della Repubblica sull’intero territorio nazionale, specie quelle maggiormente impegnate, anche in queste indagini il Corpo ha messo in campo le migliori risorse, ottenendo risultati di indubbia efficacia. Durante tutto il periodo in cui si sono protratti gli accertamenti che hanno riguardato i procedimenti penali nei quali è stato coinvolto l’avvocato Amara, ho adottato (o fatto adottare) – sia nelle vesti di Capo di Stato Maggiore, unitamente all’allora Comandante Generale, Generale Giorgio Toschi, sia allorquando ho assunto l’attuale incarico – talune decisioni volte a fornire il massimo supporto possibile all’Autorità giudiziaria procedente sulla base delle esigenze da questa prospettate. Ripongo la mia più assoluta fiducia nell’Autorità giudiziaria, che saprà sicuramente accertare la verità dei fatti onde tutelare l’onore e l’immagine dell’Istituzione Guardia di Finanza tutta. Ho già dato mandato ai miei legali di procedere in via giudiziaria per calunnia a protezione del buon nome del Corpo, oltre che della mia persona”.

Anche le toghe citate si muovono: gli alti magistrati Giovanni Canzio, primo presidente emerito della Corte di Cassazione e Pasquale Ciccolo, procuratore generale emerito sempre presso la Cassazione, rendono noto di aver dato mandato al loro legale di fiducia di querelare l’avvocato Piero Amara. La querela è in ordine alle dichiarazioni “gravemente diffamatorie e grossolanamente calunniose” rese nei loro confronti e pubblicate ieri da Il Fatto Quotidiano”.

I legali di Luca Palamara scrivono: “Gli atti più rilevanti dell’inchiesta nei confronti del dottor Palamara sono stati veicolati in anticipo, sin dall’inizio, dai mass media. Stupisce come si sia utilizzato il bisturi per selezionare dichiarazioni che hanno comportato la modifica dell’imputazione, poi nuovamente modificata, omettendo di depositare un atto completo reso, nei suoi contenuti sostanziali, già nel dicembre 2019”. Così, in una nota Benedetto Buratti, Roberto Rampioni e Mariano Buratti, difensori dell’ex consigliere del Csm Luca Palamara. “Atti – proseguono i difensori – non depositati anche se particolarmente rilevanti per la difesa nella delicata fase dell’udienza preliminare, atti in grado di chiarire le numerose incongruenze durante le indagini come la mancata iscrizione del presunto corruttore e la direzione delle stesse. Anche ora acquisiamo, non nel processo ma fuori dal processo, elementi fondamentali per la difesa del nostro assistito, privato, è il caso di dirlo, dei suoi diritti”, sottolineano i penalisti.

Il generale Giorgio Toschi, già comandante generale della Guardia di Finanza: “Sin dalla lettura, in data 5 maggio, di quanto pubblicato sulla testata giornalistica La Verità, che riportava una affermazione dell’Avv. Pietro Amara durante un interrogatorio reso alla Procura di Milano il 6 dicembre 2019, secondo cui ‘sicuramente sono legati a Ungheria….(omissis)…il Generale Toschì, al fine di tutelare la mia onorabilità ho sporto denunzia all’Autorità Giudiziaria smentendo categoricamente ogni mia appartenenza a qualsivoglia associazione ed in particolare alla presunta Loggia Ungheria e di conoscere l’Avv. Amara. Con ancor più sdegno e sorpresa leggo oggi su altre testate giornalistiche (Il Riformista e Il Fatto quotidiano) riportare le stesse calunniose dichiarazioni rese dal predetto professionista e ciò conferma la mia volontà di ottenere tutela del mio onore, della mia reputazione e della mia storia personale e professionale”.

Tullio Del Sette, ex Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri: “Ho letto, come tanti, su alcuni giornali, dichiarazioni che sarebbero state rilasciate alla Magistratura da un personaggio a me sconosciuto, il quale avrebbe affermato di una asserita mia partecipazione ad una associazione di cui ignoravo e ignoro l’esistenza. L’affermazione è gravemente calunniosa e diffamatoria della mia dignità di cittadino e di Ufficiale dell’Arma, che mi onoro di aver servito con fedeltà e disciplina lungo quasi mezzo secolo di vita. Ritengo mio dovere prima che mio diritto, perciò, presentare denuncia- querela all’Autorità Giudiziaria affinché siano penalmente perseguite queste indegne e fantasiose affermazioni”.

“Non conosco Piero Amara nè Denis Verdini e non ho avuto alcun incontro con lui alla Galleria Alberto Sordi. I fatti riportati sono storicamente inesistenti”. Così l’ex consigliere togato del Csm e ora presidente di sezione al Tribunale civile di Roma Lorenzo Pontecorvo dopo la pubblicazione sul Fatto Quotidiano dei verbali resi ai pm di Milano da Piero Amara. “Non faccio parte di nessuna presunta loggia – sottolinea – non ho idea di cosa si tratti. Conosco alcuni dei magistrati menzionati per via del mio lavoro ma non le altre persone citate. Mi riservo di formulare le dovute denunce per calunnia”.

Sulla stessa linea Giovanni Legnini. ex presidente del Csm: “Apprendo da un articolo di stampa che sarei citato in un plico anonimo che legherebbe il mio nome alla cosiddetta Loggia Ungheria. A tal proposito è doveroso precisare che ho avuto notizia dell’esistenza di tale organizzazione dai giornali. Mai ho ricevuto da alcuno richieste di affiliazioni ad organizzazioni segrete o logge di alcuna specie; non ho mai conosciuto nè intrattenuto alcun rapporto con l’avvocato Amara, nei confronti del quale presenterò querela per calunnia. C’è da chiedersi a quali obiettivi corrisponda la diffusione di notizie incredibili e false”.

Il Presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi: “Non ho mai fatto parte di nessuna loggia, tantomeno la cosiddetta Loggia Ungheria. Ho già presentato un esposto per calunnia a dicembre scorso in relazione a dichiarazioni rese dell’avvocato Amara. Mai avrei pensato nella mia vita di dovermi trovare a smentire dichiarazioni tanto calunniose quanto fantasiose”.

“Loggia Ungheria? Mai saputo della sua esistenza, non ho mai fatto parte di alcuna loggia, non ho mai frequentato l’avvocato Amara”. Così il deputato Cosimo Maria Ferri dopo la pubblicazione sul Fatto Quotidiano dei verbali resi ai pm di Milano da Piero Amara. “Le sue dichiarazioni sono farneticanti e destituite di ogni fondamento – sottolinea – la stessa autorità giudiziaria ne accerterà il contenuto calunnioso. Ho già dato mandato ai miei legali di presentare una denuncia querela. Chi c’è dietro queste dichiarazioni? Quale è l’obiettivo?”.

“Non ho mai fatto parte di alcuna Loggia, nè sono a conoscenza dell’esistenza di una presunta loggia Ungheria. Escludo di aver mai incontrato Denis Verdini e Piero Amara. Ovviamente conosco di nome l’ex senatore Verdini trattandosi di personaggio politico noto”. A dirlo il procuratore aggiunto Angelatonio Racanelli, sempre in merito ai verbali di Amara. “Di fronte alle dichiarazione di Amara non so se piangere o ridere. Piangere per il livello che ha assunto nel nostro Paese la lotta politica anche all’interno della magistratura o ridere per la palese infondatezza delle affermazioni dell’avvocato Amara. Aggiungo anche che personalmente – spiega – non conosco molte delle persone tirate in ballo dall’avvocato Amara come appartenenti a questa presunta Loggia”.

“Quanto prima – annuncia il magistrato – procederò a presentare denuncia per calunnia nei confronti dell’avvocato Amara sempre che le dichiarazioni allo stesso attribuite così come pubblicate oggi sul Fatto Quotidiano corrispondano al contenuto degli interrogatori resi. Spero si faccia piena luce sulle vicende relative alla diffusione dei verbali di interrogatorio dell’avvocato Amara e alla loro circolazione anche all’interno di luoghi istituzionali: vi sono molti aspetti oscuri che meritano di essere chiariti. Mi pongo solo una domanda: chi c’è dietro l’avvocato Amara?”.

Il presidente del Consiglio di presidenza della Giustizia Tributaria ed ex consigliere laico del Csm Antonio Leone: “E’ successo che qualche amico mi abbia chiesto se sono stato in Ungheria e io ho risposto che sono stato a Budapest. Per il resto quando ho letto il mio nome ho sorriso”.

“Non ho mai avuto contatti di alcun tipo con l’avvocato Amara”. Lo afferma l’ingegnere Carlo De Benedetti, che in una nota “smentisce categoricamente” quanto affermato dal Fatto Quotidiano.

“Il 10 agosto chiedevo alla Procura di Perugia ai fini difensivi il rilascio di atti che ancora oggi non mi sono stati consegnati. Scopro con grande sconcerto che tali atti sono stati pubblicati oggi da un quotidiano”. Scrive l’ex pm di Roma Stefano Rocco Fava. “Mi domando: per quale motivo mi è stato impedito di avere accesso agli atti relativi alle dichiarazioni di Amara sugli appartenenti alla Loggia Hungaria indispensabili per la mia difesa?” conclude Fava.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/09/17/loggia-ungheria-ecco-i-verbali-del-caso-amara/6323460/


Luigi Bisignani https://www.articolo21.org/2015/10/chi-e-lui-luigi-bisignani-giusto-per-tenere-viva-la-memoria/


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