La truffa del sistema bancario

La truffa del sistema bancario spiegata ai bambini ed agli adulti


«Ogni sette anni saranno condonati tutti i debiti. Si procederà in questo modo: quando sarà proclamato, in onore del Signore, l’anno per il condono dei debiti chi avrà fatto un prestito ad un altro, non costringerà il suo prossimo, un suo connazionale, a rimborsagli il debito. Si potrà esigere da uno straniero il pagamento dei debiti, ma quelli che avete con un connazionale saranno condonati. Se ubbidirete al Signore, vostro Dio, mettendo in pratica questi comandi che oggi vi ordino, non ci sarà nessun povero tra di voi: il Signore vostro Dio vi colmerà di ogni bene sulla terra. Se ci sarà tra di voi qualche israelita povero non sarete di cuore duro e non chiuderete la mano davanti al fratello povero. Anzi siate generosi con lui e prestategli ciò di cui ha bisogno nel suo stato di necessità. Ci saranno sempre poveri nella vostra terra: perciò vi ordino di esser generosi con i vostri fratelli poveri e bisognosi» (Deuteromio 15, 1,3, 4,5, 11).

Chi pronuncia queste parole è Dio in persona e quando Dio ordina, detta un comandamento: come non uccidere, non rubare, non desiderare la roba d’altri: il concetto è chiarissimo Dio nella sua infinita misericordia vuole che i suoi figli siano liberati dalla schiavitù della povertà e del bisogno, affrancandoli da quel fardello che aveva imposto nel Genesi quando disse ai progenitori: «Con fatica ne ricaverai cibo (dalla terra). Ti procurerai il pane con il sudore della fronte» (Genesi 3.17, 19). Il Signore si è reso conto che se l’uomo deve faticare e lavorare per ricavare il necessario per la sopravvivenza, se deve vivere nella perenne incertezza del dover sfamare se stesso ed i suoi figli, ha poco tempo e poca forza per lodarlo, benedirlo, adorarlo, glorificarlo. Come al solito viene loro in aiuto e fornisce questo Comandamento della Potenza che permetterà di poter avere la possibilità di essere affrancato dal bisogno e dall’incertezza quotidiana (1).

E si badi bene il comandamento è per tutti, Dio non fa distinzione tra i suoi figli, sono tutti uguali: infatti quando i tempi furono maturi mandò suo figlio a cambiare la legge mosaica del prestare con quella del donare (2); non dimentichiamo questo concetto importantissimo. Se addirittura la liberazione dalla schiavitù del peccato e dalla morte è per tutti i popoli, anche i non israeliti, volete che l’affrancamento dalla schiavitù del bisogno sia riservato al solo popolo eletto?

Dio fa di più, nel libro di Tobia c’è descritta la mamrè o memrà l’antesignana della nostra carta moneta, un pezzo di carta che spezzato in due viene conservato parte dal debitore e parte dal creditore e la cui emissione è affidata al grado di religiosità ed alla responsabilità dei singoli credenti e che aveva alla base la solidarietà creditizia che si allargava e coinvolgeva tutto il popolo di Dio. Era un debito che poteva circolare senza bisogno di girata diventando un vero e proprio strumento di carità.

In pratica cosa accadeva: un israelita consegnava un documento in cui c’era scritto che era debitore di una somma e chi lo riceveva era sicuro che se lo avesse presentato per l’incasso ad un qualsiasi membro del popolo d’Israele, questi lo avrebbe onorato ed avrebbe a sua volta presentato il pezzo di carta a qualcun altro per farsi rimborsare: la cosa era talmente sicura, che il pezzo di carta non veniva più nemmeno presentato per l’incasso, ma trattenuto e dato come mezzo di pagamento, tanto era garantito il suo valore e la sua solvibilità. Era, quindi, più comodo di una somma di denaro in metallo prezioso, meno pericoloso da trasportare e garantitissimo.

A questo punto risulta evidente che la mamrè e assolutamente identica alla nostra carta moneta e che il valore che essa acquista non è certo dato dal pezzo di carta e dall’inchiostro con cui è scritta sia la prima che la seconda, ma dalla convenzionalità cioè dalla volontà di chi la riceve di riconoscere quel valore intrinseco: il pezzo di carta ha il valore perché chi l’accetta glielo riconosce ed è sicuro di esso in quanto sempre cambiabile, allora in un pezzo di metallo prezioso, in una partita di merce, oggi nella sicurezza che può essere scambiata ed accettata, senza problemi, dalla collettività.

Se queste cose sono vere allora la moneta è un simbolo che in sé ha forza contrattuale, quindi dotata di sinallagma funzionale: il sinallagma è quel vincolo che, in qualsiasi rapporto di natura contrattuale, unisce la prestazione alla controprestazione: ciò è innegabile ed è palese e se questo è vero, la moneta altro non è che una fattispecie giuridica che quindi ricade in toto nella disciplina delle figure contrattuali!

Elementare dirà il lettore! Certo, ma tutto questo ragionamento è frutto di anni di studi e di ricerche compiute dal professor Giacinto Auriti, e nonostante tutto quanto esposto ancora oggi gli economisti negano questa natura contrattuale; figuriamoci se poi ci si azzardi a parlare di sacralità o di origine divina della moneta; si rischierebbe di passare per dei cretini bigotti e malati di allucinazioni, se non per dei farneticanti integralisti.

Quando le monete erano di metallo prezioso, oro, argento, il valore della moneta stessa coincideva con quello dei metalli in cui erano coniate, quindi il valore delle stesse era intrinseco: la faccia del re garantiva solo la genuinità del metallo ed il suo peso, che ne determinava il valore.

Nella carta moneta questo valore intrinseco non c’è più: il pezzo di carta e l’inchiostro di cui sono fatte le banconote circolanti sono molto al disotto del valore che è stampato sul foglietto. Quando la circolazione cartacea era garantita dalle riserve auree ed argentee, giacenti presso i caveau della banca emittente, quindi la Banca Centrale, il pezzo di carta era un certificato rappresentativo del controvalore in oro. Non per niente sulla moneta era stampigliata la formula Pagabile a vista al portatore; c’era indicato la data di emissione e c’era la firma del Governatore come avallo, da ultimo un numero di serie indicava la partita ed il numero del lotto di emissione (3). Questo significava che se un qualsiasi portatore si fosse presentato alla Banca Centrale richiedendo il controvalore della moneta, il cassiere era obbligato a ritiragli il biglietto e a fornirgli il pezzetto d’oro (o argento) equivalente. La quantità di circolante era proporzionata alla quantità d’oro depositata nei forzieri della Banca Centrale. Nessuno si presentava per richiedere il suo pezzetto di metallo in quanto era inutile, il foglietto era un certificato rappresentativo del controvalore in materiale prezioso: tutti sapevano che quello che avevano in mano era la stessa cosa e che il pezzetto di metallo prezioso era potenzialmente in loro possesso, ma che stava meglio custodito nei forzieri della Banca Centrale.

Rimarchiamo che anche nella Mamrè il valore era determinato dal fatto che se quel pezzo di carta fosse stato presentato ad un qualsiasi esponente del popolo ebraico questi avrebbe fornito subito, al presentatore, il controvalore in moneta metallica e, come nel caso sopraddetto, nessuno alla fine avrebbe richiesto il pagamento in quanto il pezzo di carta era accettato da tutti in virtù di quella promessa sacra.

Quindi la moneta aveva valore, perché erano le persone che, per convenzione, glielo attribuivano accettandola e passandosela di mano in mano. La prova di questa affermazione sta nel fatto che, quando fu tolta la possibilità materiale di ritirare il pezzetto di metallo prezioso presso la Banca di Emissione, nessuno si rifiutò di riconoscere al medesimo lo stesso valore, nessuno pretese che gli venisse fornito un altro simbolo diverso da quello che aveva prima: i noti accordi di Bretton Woods che incoronarono il dollaro come moneta di scambio a livello mondiale, legarono sì la moneta americana ad un quantitativo di oro fino (oncia troy), ma le transazioni di oro erano riservate solo alle Banche Centrali per scambi tra loro. Quando il presidente degli Stati Uniti Nixon, il 15 agosto 1971, abolì la convertibilità del dollaro in oro, disse che il valore della moneta americana era garantito dal potenziale economico industriale degli USA: quindi il vero valore della moneta era la potenza economica degli Stati Uniti medesimi. Il biglietto verde diventava sempre più un simbolo di valore intrinsecamente nullo! Molti intravidero in questa mossa la implicita dichiarazione di bancarotta fatta dal governo americano: di sicuro la dichiarazione di Nixon faceva venire meno il pilastro fondamentale degli accordi di Bretton Woods.

Se per un attimo pensiamo, per assurdo, di mettere, da solo, un Governatore (4) di una qualsiasi Banca Centrale in un’isola deserta a stampare monete con i macchinari più sofisticati, tutto quanto stampato cosa vale? Un bel niente mancando la collettività che accetta la moneta come scambio di beni reali economici: controprova che il valore alla carta moneta è dato solo dalla convenzione che venga accettata da tutti coloro che fanno parte di un collettività: non ci sono teorie economiche, studi monetari sofisticati, sistemi di analisi che possano negare questa semplicissima e nuda verità!

Del resto la stessa teoria è alla base della creazione dell’entità Stato: se va bene per quello, perché mai, in questo caso non dovrebbe valere?

Come diceva il presidente Nixon il valore della moneta Dollaro era garantito dal potenziale economico degli Stati Uniti. In realtà non diceva una bugia: ogni anno qualsiasi nazione produce un quantitativo di beni e di servizi nuovi, che l’anno precedente non esistevano, quindi ogni anno uno Stato produce ricchezza dal niente, questa ricchezza è il frutto del lavoro, dello sforzo, del genio, della fantasia, della capacità tecnologica, del potenziale industriale, agricolo, artigianale di quella nazione. Tutto questo si chiama PIL, prodotto interno lordo. Ed ogni anno questa massa di ricchezza reale, tangibile, si rinnova, ma per essere scambiata essa ha bisogno di una congrua e reale quantità di moneta nuova: affermazione lapalissiana, ma qui cominciano le difficoltà, i freni, gli imbrogli!

Chi deve decidere la quantità di nuova moneta da immettere sul mercato? 

Sicuramente lo Stato, a cui i cittadini hanno, delegando i loro diritti, affidato il compito di governare ed amministrare la collettività: questa è la base del contratto sociale, il fondamento del vivere civile e pacifico di un collettività!

Allora, a rigor di logica, lo Stato dovrebbe stampare, attraverso una sua officina carte e valori questa quantità di moneta e la dovrebbe immettere sul mercato per rendere possibili quegli scambi di nuovi prodotti contro moneta (riscontriamo anche qui il sinallagma funzionale base del contratto giuridicamente normativizzato): non c’è bisogno di nessuna teoria economica, di nessuna elucubrazione, di nessun tipo di teoria monetaria per ritenere questo argomento valido. Ma materialmente lo Stato come dovrebbe immette sul mercato questa quantità nuova di moneta ed in quale quantità dovrebbe farlo? La risposta più semplice è: pagando i propri dipendenti, pagando i lavori pubblici necessari, acquistando tutto quello che serve per il suo funzionamento!

La nuova massa monetaria arriverebbe al mercato direttamente senza alcun onere, senza che qualcuno si indebiti in maniera automatica; per una ragione di prudenza non tutto il controvalore in valuta dovrebbe essere messo sul mercato di colpo: ma diluito nel corso dell’anno e tenendo una quota a riserva per impedire che la eccessiva quantità di moneta crei fenomeni inflattivi e quindi svalutativi o speculativi. L’ente preposto a questo tipo di azione dovrebbe, naturalmente, essere il ministero dell’Economia attraverso la Tesoreria di Stato! Negli Stati Uniti questo è addirittura sancito dalla Costituzione.

Tutto lineare mi pare, nessun tipo di controversia dovrebbe nascere, non ci sono arzigogoli da accampare, ripeto, teorie monetarie da rispettare, dottrine economiche da seguire, correnti di pensiero politico da accettare, o negare. Ed invece? Niente di tutto ciò avviene.

Procediamo con ordine.

Nella seconda metà del 1600 la situazione della finanza statale inglese era in condizioni estremamente precarie: le continue guerre, le elevate spese per il mantenimento dell’apparato statale, avevano prodotto un vero e proprio stato d’insolvenza e lo Stato rischiava la bancarotta. A quel punto il re chiamò alcuni esperti per risanare la finanza pubblica.

Fu così creata la Banca d’Inghilterra, prototipo della Banca Centrale. Fu fondata nel 1694 da William Paterson, da Law e da alcuni loro associati, con un capitale iniziale di 1.200 000 lire sterline interamente versato dal mercato pubblico. All’origine, quindi, era sicuramente una banca privata obbligata, in forza del Tonnage Act del 1694, a prestare allo Stato la totalità del suo capitale, il che fruttava una remunerazione annuale di centomila sterline; la banca era autorizzata ad utilizzare, a suo piacimento, i benefici derivanti ed aveva anche ricevuto il privilegio di emettere moneta, beneficio per altro non in esclusiva, ma che le conferiva un carattere ufficiale. Paterson, in modo cinico, doveva riassumere, in questo modo, l’attività del suo istituto: «La banca ha ricavato benefici su tutto il denaro che essa stessa ha creato dal nulla».

La Banca era costituita come società ed aveva assunto la denominazione sociale di The Governor and Company of the Bank of England.

Il Robert Peel Act del 1884 gli concesse la gestione esclusiva del Tesoro ed il monopolio sui tassi d’interesse. Inoltre essa fungeva anche da riserva di credito per tutte le altre banche esistenti. Da allora la sua potenza divenne tale che poté permettersi di esercitare pressioni sulla linea politica generale del governo. Sempre nel 1884 il governo di Sua Maestà Britannica tentò, invano, di far modificare il privilegio concesso alla banca stessa. Già nel 1852, il Cancelliere dello Scacchiere (il ministro delle Finanze inglese) Gladstone, suo malgrado affermava che «Tutto si riduceva a questo: il governo stesso non doveva avere alcun potere reale in campo finanziario, ma doveva lasciare che la Potenza del Denaro fosse la sovrana indiscussa».

La banca era amministrata dalla The Court o Consiglio dei Reggenti, composto da 24 membri scelti tra i rappresentanti delle grandi dinastie finanziarie: Barino, Grenfell, Schroeder, Hambro, Lazard, Rothschild i quali nominavano il Governatore aggiunto.

Certamente, ormai, l’era in cui i sovrani, guarda caso inglesi, facevano fallire la più grossa banca continentale, la Peruzzi e Bardi di Firenze, era definitivamente alle spalle: ormai i politici si avviavano a diventare i camerieri dei banchieri e la politica stava tramutandosi in mera amministrazione. Jacques Bordiot, nel suo libro "Une main cachée... dirige" scriveva: «La Banca Centrale, nella maniera in cui è intesa dal Sistema, è un istituto a carattere ufficiale, ma con capitali e direzione privata con privilegi esclusivi, che permettono di ottenere il controllo assoluto delle finanze e dell’economia del Paese di riferimento. E questo è, in effetti, l’edificio che il Sistema presenta oggi davanti ai nostri occhi. In ogni nazione esso ha installato una Banca Centrale che fin dall’inizio ha cercato di prendere in mano pesantemente l’organizzazione governativa: provocando l’indebitamento dello Stato con tutti i mezzi; giocando la carta dei prestiti del Tesoro seguendo le linee di tendenza giorno per giorno; attraverso le azioni concertate dalle Banche Centrali sui cambi di valuta estera ed, alla fine, sull’attività economica del Paese con tutte le conseguenze sociali che da questa derivano» (5).

Carrol Quigley autore illuminato di "Tragedy and Hope", professore di Storia alla prestigiosa Georgetown University negli anni settanta del secolo scorso, scriverà: «Niente altro che la creazione di un sistema mondiale di egemonia finanziaria concentrata nelle mani di alcune personalità capaci di dominare la politica di ogni Paese e l’intera economia mondiale».

Il contagio della Banca Centrale, comunque, si diffuse in tutta Europa e le prime a farne le spese furono proprio le monarchie cattoliche. Bordiot nel libro citato aggiunge: «Napoleone, costituì ufficialmente con i crismi di legge previsti, la Banca di Francia il 28 nevoso dell’anno VIII (17 gennaio 1800); il 18 aprile 1800, firmando l’approvazione del suo Statuto, lui stesso ne divenne azionista insieme ai fratelli Giuseppe e Girolamo, al cognato Murat, alla cognata Ortensia di Beauharnais ed ai suoi aiutanti di campo Duroc, Clarke, Bourienne, presenti nell’elenco anche i nomi degli altri due Consoli Cambacérès e Lebrun. La legge del seguente 24 germinale anno XI, creando il franco oro, accordò alla Banca di Francia il privilegio di emissione della carta moneta».

La Banca d’Italia viene istituita con la legge numero 449 del 10 agosto 1893, dalla fusione di quattro banche: la Banca Nazionale del Regno d’Italia (già Banca Nazionale degli Stati Sardi), la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia e dalla liquidazione della Banca Romana in seguito al cosiddetto scandalo della Banca Romana. Con una serie complessa di fusioni fra queste banche, si formava quella che sarebbe diventata l’attuale Banca d’Italia. Artefici dell’operazione furono alcune famiglie di banchieri, soci storici: Bombrini, Bastogi, Balduino.

Nel 1926 la Banca d’Italia ottenne l’esclusiva sull’emissione della moneta (venne così abrogato il Regio Decreto del 28 aprile 1910, numero 204, che aveva confermato la prerogativa anche al Banco di Napoli ed al Banco di Sicilia). Nel 1928 la Banca veniva riorganizzata. Al direttore generale venne affiancato un Governatore, dotato di poteri maggiori. L’istituto di via Nazionale dal 1998 è parte integrante del sistema europeo delle Banche Centrali (SEBC). La sua quota di partecipazione alla BCE è del 12,47% e ciò le permette di spartirsi una quota pari alla sua partecipazione dell’utile residuo della BCE; l’utile va alla banca ed ai suoi soci, non allo Stato come si potrebbe credere. I soci di Bankitalia sono: Gruppo Intesa San Paolo IMI (Gruppo Intesa 27,2%; Gruppo San Paolo 17,23%) 44,43%; UNICREDIT Banca (Gruppo Capitalia 11,5%; Gruppo Unicredit 10,97%) 22,47% ; Assicurazioni Generali 6,33%; INPS 5%; Banca Carige 3,96%; BNL (Gruppo BNP Paribas) 2,83%; Monte dei Paschi di Siena 2,50%; Gruppo La Fondiaria Assicurazioni 2%; Gruppo Premafin 2%; Carifirenze 1,85%; RAS (Gruppo Allianz)1,33%; Altre Banche minori 5,20%(6).

Salta subito agli occhi che le banche proprietarie sono allo stesso tempo controllanti e controllate e questo crea un palese conflitto d’interesse: quando il Banco Ambrosiano entrò in crisi, Bankitalia fu inflessibile e lo fece fallire; altrettanto non avvenne con il Banco di Napoli e di Sicilia che possedevano una discreta quota di partecipazione nella proprietà di Bankitalia: il Banco fu «assorbito dall’Istituto San Paolo IMI e non fallì», stranamente! Poteva la Banca Centrale far fallire uno dei suoi maggiori soci? Naturalmente il tutto fu fatto per salvare il più grande istituto bancario meridionale e salvaguardare i risparmiatori. Solare! Ed i soci ed i risparmiatori dell’Ambrosiano chi erano, figli di un dio minore? Altra cosa che è evidente: i gruppi proprietari di BNL e della Ras sono, rispettivamente la BNP Paribas francese ed il Gruppo assicurativo Allianz tedesco: forse dei gruppi italiani partecipano ai capitali di Banque de France o della Bundesbank? No, i loro soci sono solo nazionali, che diamine, ci mancherebbe altro! Noblesse oblige: questi signori ci hanno fatto l’onore di venirci a sottrarre gli utili, cospicui, della nostra Banca Centrale, che statene certi in Italia non resteranno di certo! Siamo in Europa e gli altri possono scorazzare nel nostro territorio a loro piacimento: azzardatevi a fare altrettanto a casa loro!

Negli Stati Uniti Thomas Jefferson, terzo presidente della repubblica stellata, così scriveva al suo predecessore John Adams: «Credo sinceramente, come anche lei, che gli istituti bancari siano molto più pericolosi degli eserciti permanenti». Ancora Bordiot ci viene in aiuto: «Agli inizi del XIX secolo, un tentativo di creare una Bank of the United States fu brutalmente interrotto, siamo nel 1836, dal presidente Andrew Jackson, che ne decretò la scomparsa per frenare l’invadente preponderanza dei Rothschild sul sistema finanziario americano. Nel 1863, se da una parte il National Bank Act consentiva l’emissione di biglietti di banca senza interessi in contropartita di acquisto degli istituti di Buoni del Tesoro con interesse garantito, dall’altra il diritto di emissione poteva essere esercitato, in virtù di quanto detto prima, in uguale maniera da qualsiasi banca nazionale».

Alla fine del 1910, con il pretesto della caccia alle anatre, il senatore Aldrich e Paul Warburg riunirono a Jekyl Island, in Georgia, Henry P.Davison (Banca Morgan), Benjamin Strong, presidente della Bankers Trust Co. (Morgan), Frank A. Vanderlip, presidente della National City Bank (Rockefeller) e A. Piatt Andrew, Segretario Aggiunto al Tesoro. Nel 1911, Aldrich depositò al Congresso contemporaneamente il rendiconto della sua missione in Europa (appositamente ritardato per essere in sintonia con le risoluzioni prese a Jekyl Island) ed il suo Aldrich Bill… che come era prevedibile, dopo un breve dibattito, fu respinto con una forte maggioranza parlamentare! Tutta questa bella manovra sotterranea si concluse con un grosso insuccesso per gli insider (iniziati). Ma cosa molto peggiore, il Congresso, le piccole banche e persino il grande pubblico si trovarono ad essere allertati sulle ormai manifeste intenzioni dei congiurati.

Il 4 marzo 1913 Thomas Woodrow Wilson divenne il ventottesimo presidente degli Stati Uniti. Aveva appena finito di insediarsi alla Casa Bianca che il 22 dicembre 1913, il Federal Reserve Act, fu presentato, da Wilson al Congresso nella versione approvata da Paul Warburg; venne approvato con 298 voti favorevoli contro 60 contrari alla Camera dei Rappresentanti e con 43 voti a favore e 25 contrari al Senato. La costituzione degli USA riservava al Tesoro degli Stati Uniti la facoltà di emissione monetaria: i signori del denaro fecero un colpo di Stato espropriando il popolo americano dei suoi diritti ed in pratica impadronendosi del potere politico!

Le leggi economiche e del mercato permettono simili obbrobri e tutti i poveri scemi devono solo «servire e tacer»? O esistono teorie più avanzate che giustifichino tutto questo?

Vediamo adesso come la moneta viene posta sul mercato! La modalità era rimasta in sospeso.

Il PIL annuo ha comunque bisogno di una quantità di moneta che permetta lo scambio di questa nuova ricchezza prodotta. Su questo sono d’accordo perfino i sacerdoti della Religione Bankitalia, come in un articolo su Repubblica di qualche anno fa li chiamava Giuseppe Turani. Il governo ordina alla Banca Centrale XY di stampare moneta relativa alla copertura della nuova quantità di ricchezza prodotta. La Banca Centrale non gliela fornisce; gliela presta come fa con qualsiasi altro soggetto bancario: vuole garanzie reali. Lo Stato a questo punto fornisce alla Sua Banca Centrale o certificati rappresentativi del debito dello Stato o immobili o qualsiasi altra garanzia: queste poste vanno ad aumentare un debito pubblico che non si potrà mai estinguere. Non è tutto, la Banca Centrale si arroga anche il diritto di decidere lei quando immettere la moneta sul mercato ed in quali quantità, essendo arbitra del metro monetario: quindi essa ha sottilmente creato una distinzione tra emissione di moneta ed immissione della medesima sul mercato, questo senza alcun supporto di legge: ergo in maniera del tutto arbitraria! Nel frattempo la massa monetaria che non viene immessa non si creda che resti nei forzieri della Banca Centrale; no, assolutamente, viene prestata ad altri soggetti nazionali o internazionali con operazioni a tassi over night, come pronti contro termine a livello internazionale, come polmone di liquidità per operazioni di prestiti in valuta, viene investita in fondi comuni o per operazione speculative. I titoli possono anche essere tenuti a maturare interessi che naturalmente restano al possessore dei medesimi. Se un soggetto di diritto qualsiasi, nella fattispecie pratica, una banca, si comporta in questa maniera è palese, lapalissiano, che lo possa fare, perché il denaro che adopera è di sua esclusiva pertinenza, è suo, di sua proprietà!

E la ricchezza che i cittadini hanno prodotto come si scambia, come fanno le varie entità a poter avere quel respiro necessario a soddisfare gli scambi di nuove ricchezze reali prodotte? Beh, nella loro magnanimità lorsignori ogni tanto immettono nell mercato qualche quantità di denaro fresco, ma cum gramo salis; non si deve produrre il fenomeno inflattivo, meglio tenere il sistema a stecchetto (7). Che cosa avviene? Che la Banca Centrale rifornisce il mercato di quell’ossigeno indispensabile; come? Indebitandolo. La Banca Centrale fornisce alle banche ordinarie quantità di nuova moneta facendosi cedere titoli a scadenza certa e di sicura solvibilità e per il disturbo si trattiene una percentuale che chiama tasso di sconto o prime rate, cioè il tasso più basso che si possa chiedere, quel trattamento di favore riservato ai migliori clienti. È solare che le banche si basino su quel tasso per costruire il loro prime rate, cioè il tasso debitorio (creditore per l’istituto, ovviamente) più favorevole riservato ai migliori clienti, dopo aver ricaricato su quello di base (tasso di sconto) le loro spese ed il loro guadagno. Quindi il nuovo denaro comincia a circolare dopo essere stato gravato due volte da debito.

I grandi soloni, i grandi scienziati dell’economia, i luminari della materia hanno mai, formulando le loro spesso farneticanti teorie, preso in considerazione che questo sistema è fasullo, ingiusto, truffaldino, sbagliato? Macché, fanno arzigogoli, formulano teorie le più complicate possibili, più complesse e sottili, ma il sistema resta sempre quello: intoccabile, inamovibile, irriformabile, non si può nemmeno prendere in considerazione l’idea di cambiarlo: l’economia ha le sue regole, si sostiene!!! Non si possono stravolgere! Crollerebbe il sistema!

Se a tutto ciò aggiungiamo che il prezzo del biglietto di banca fatto dalla stamperia, ha un costo, reale, di qualche decina di centesimi di euro, chi s'incamera, o peggio si ruba la differenza tra costo vivo e valore nominale scritto sul biglietto? Facendo i classici conti della serva non è qualcosa che si chiama guadagno? E su questo utile si pagano le tasse dovute al governo dello Stato? Zero. E poi parlano di area di evasione fiscale… Ci mancherebbe altro: eppure questo tipo di operazione ha un nome che la dice lunga, si chiama signoraggio. E per quantificare facciamo delle cifre: il guadagno del signoraggio primario giornaliero di Bankitalia ammonta a circa 147 milioni di euro al giorno!!! Soldi che finiscono nelle tasche dei soci privati della nostra Banca Centrale. Allo Stato resta solo il signoraggio sulle monete metalliche che emette: e pensare che Tremonti avrebbe voluto fare anche il biglietto cartaceo da un euro: qualcuno deve avergli detto che avrebbe perso il signoraggio! Forse qualcuno deve avergli fatto quattro conti e fatto vedere quanto perdeva: ha smesso di parlarne, per fortuna nostra!

Lo Stato riprenda quell’auctoritas che ha ceduto a queste sanguisughe, si faccia pagare quello che gli spetta e smetta di fare il cameriere di questi «giganti della malavita» come li chiamava il professor Auriti! Teorie economiche o no, utopie finanziarie, questa è l’amara realtà!

Durante la grande crisi che si generò, meglio sarebbe dire che fu generata, nel 1929, intere nazioni si ritrovarono sul lastrico. Nessuno era in grado di escogitare qualcosa di nuovo e di efficace, tutti s’involvevano come un serpente oroborus che si morde la coda. In un paesino del Tirolo, Wörgel, tra l’agosto del 1932 e l’aprile del 1933, il borgomastro, Michael Unterguggenberger, ex sindacalista socialista ed ex macchinista delle Ferrovie austro-ungariche, pensò di creare una moneta alternativa garantita dal Comune, che aveva la prerogativa di scadere e che ogni mese doveva essere bollata pagando una piccola somma come interesse di convalida.

Il Comune pagò con quella moneta, i Wörgel Schilling, i lavori di rifacimento del piazzale della stazione: la moneta cominciò a circolare e a passare di mano in mano velocemente: chi la voleva risparmiare lo poteva fare depositandola presso la Sparkasse, che gli garantiva due cose: un piccolo minimo interesse fisso e la validazione mensile! Il Comune immise sì e no un terzo della somma che aveva preventivato di adoperare! In pochi mesi, la cittadina conobbe un vero e proprio boom, le attività economiche rifiorirono, la disoccupazione cominciò a calare fortemente! Troppo bello, troppo semplice: ed ecco calare la scure della Banca Centrale Austriaca: verboten!

Il professor Auriti ripropose l’esperimento a Guardiagrele, la sua città di origine: stesse condizioni, stesso effetto, stesso circolo virtuoso: questa volta quasi un centinaio di macchine della Guardia di Finanza, un numero imprecisato di camionette e gazzelle dei Carabinieri che a sirene spiegate circondano il paese e sequestrano il corpo del reato (di lesa maestà?): qualche chilogrammo di carta colorata, i SIMEC, simboli econometrici; nessuno fu frodato, nessuno ci perse: i commercianti ci guadagnarono finendo le scorte di materiali in pochissimi giorni.

Il professor Auriti pagò con la perdita delle sue amate terre, un pezzo della sua vita e della storia della sua famiglia: su di lui subdola ed asettica si abbattè l’ira funesta della Banca d’Italia o meglio sarebbe chiamarla laBanda d’Italia, che attraverso le sue consorelle fece chiudere i rubinetti del credito al professore, imponendo il rientro immediato dei crediti!

Ma nel mondo ci sono altri esempi di questo tipo di moneta locale: in Germania Schacht inventò le cambiali MEFO, Itaca, Williamatic, negli Stati Uniti si sono dotate di monete locali che la stessa Federal Reserve ha dovuto ammettere essere legittime, in Italia in alcune città circolano gli Chec sotto forma di buoni sconto: i risultati sono sempre gli stessi, ma su questo la coltre del silenzio è calata spessa e densa: ciò di cui non si parla non esiste! La cura per superare la crisi è per prima cosa rimuovere la causa basilare di essa, tagliare il circuito vizioso che alimenta la Grande Usura, prendere coscienza che la ricchezza di un popolo è la sua onestà ed il suo oro il suo lavoro!

Una vecchia canzone cantava: «Il popolo vinca dell’oro i signor, il domani apparterrà a noi!». Svegliamoci dal sonno della vita che questi mistificatori ci fanno vivere come un incubo o un’allucinazione, mandiamo all’inferno le teorie economiche, i sapienti della scienza economica, i saccenti arroganti sacerdoti del dio denaro che, da cattivo padrone, ci fa suoi schiavi, facciamolo tornare quello che deve essere, un buon nostro servo e torniamo a riacquistare la dignità, riscopriamo di essere uomini, figli del Dio dell’amore e non più polli in batteria da allevamento.

Sostituiamo alla legge mosaica del prestare quella cristiana del donare, rimpossessandoci della nostra sovranità monetaria, che questi servi dell'oscuro signore ci hanno subdolamente scippato e vediamo la moneta non più come sterco del demonio, ma come un dono che Dio, nella sua infinita bontà e misericordia, ha fatto ai suoi figli, perché, finalmente sollevati dalla incertezza, dalla indigenza, dalla preoccupazione, dalla fame lo possano lodare, benedire, ringraziare ed amare con tutto se stessi.

NOTE
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1) Confronta Francesco Cianciarelli, "Le origini storiche della moneta e la sua influenza nelle vicende umane", Edigrafital Teramo, 1996, pagine 57, 58.
2) Il professor Giacinto Auriti in varie prolusioni e convegni adoperava questa importante asserzione foriera di un cambiamento rivoluzionario dell’Ordo mondialista.
3) Oggi nell’Euro tutto ciò è scomparso, il numero seriale non è relativo alla quantità di biglietti emessi, la lettera che lo precede è identificativa del Paese di emissione: se è l’Italia, non c’è la firma del Governatore, è completamente, a scanso di equivoci, scomparsa la dicitura pagabile a vista al portatore, la formula che la legge punisce lo spaccio di biglietti falsi è sparita, sostituita da un copyright: la moneta sarebbe un’opera dell’ingegno, sottoposta a brevetto!!!
4) Spesso la forma è sostanza; stiamo attenti ai simboli ed al vero significato delle parole: perché mai il responsabile di una Banca Centrale, a tutte le latitudini, viene chiamato Governatore? Il termine latino gubernator significa chi governa, anche su delega, chi rappresenta il potere e lo esercita. Quindi chi detiene il potere e l’auctoritas per esercitarlo. Pertanto gli altri, i politici, amministrano per conto di chi governa, che solo esercita l’auctoritas. Gli altri sono niente altro che eleganti camerieri, in livrea sì, ma al massimo amministrano, su delega.
5) Jacques Bordiot, "Une main cachée... dirige", Documents et Témognances, Paris, 1974.
6) È più chiaro chi siano i Poteri Forti in Italia e che tipo di influenza possano avere sulla politica, che tipo di autorità dettino a coloro che al massimo amministrano la cosa pubblica: i suonatori possono e devono cambiare, la musica (ed il direttore d’orchestra), però restano sempre gli stessi!
7) Se, per caso, andaste a controllare la stampigliatura dell’anno di emissione riportata sull’euro circolante, con sorpresa constatereste che non ci sono banconote successive al 2002: ma come, non si era detto che una quantità di moneta avrebbe dovuto, annualmente, essere immessa sul mercato per favorire gli scambi di nuova ricchezza? Sì, ma la BCE detiene il metro monetario e la emette quando vuole, arbitrio libidoque! L’inflazione però è bassa, ma la gente non ha materialmente la quantità di moneta necessaria per gli scambi: questa è l’amara realtà! Guardate se qualcuno di questi nostri dementi e piangenti amministratori pubblici alza la voce denunciando il fatto! La casta dei sacerdoti custodi dell’economia insorgerebbe bollando la persona come un folle ignorante: che ne sa di questioni economiche questo incommensurabile bifolco? Chi tocca la moneta muore diceva, giustamente, Maurizio Blondet qualche anno fa, in una conferenza: Lincoln e Kennedy docent.

di Luciano Garofoli


 La truffa del sistema bancario.

9/11/2011

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