Galileo secondo Paolini

Oltre due ore di video, ma gli spettatori non guardano mai l'orologio...



Milleottocento chilometri è la strada che fa la Terra in un minuto. Intorno al Sole. «Una rivoluzione. L’unica che ci possiamo permettere» dice Marco Paolini aprendo il suo spettacolo Itis Galileo che ora diventa un cofanetto (Einaudi, dvd più libro pp.160, euro 18) e che racconta la storia e il tempo del condannato di maggior successo della storia della scienza. Dalle viscere del Gran Sasso, ospite dei laboratori dell’Istituto di fisica nucleare, per due ore e venti minuti l’attore parla di figure elementari (i triangoli di Platone e i cerchi di Aristotele). Di opzioni cosmogoniche («Con Aristotele tutti abitiamo in centro, con Copernico diventiamo uno dei pianeti, senza fissa dimora»). Di pazienze che fortunatamente si esauriscono (in una supplica al papa Galileo scrive: «Per tre volte in nove anni ho aspettato a pubblicare. Ora basta!»). Di un giorno in cui ne saltano ben dieci, inghiottiti dal passaggio al calendario gregoriano. Dell’università di Padova che era l’Harvard dell’epoca. Del tedesco Keplero, altro copernicano, che negli stessi anni stava arrivando alle conclusioni dello scienziato pisano ma la sua Astronomia Nova non si capiva perché troppo piena di numeri, mentre – Dialogo sui massimi sistemi a parte – Galileo era chiaro. E affascinante, al punto che alla sua prima lezione universitaria si presentano 1250 studenti, un po’ come negli attuali corsi su internet tenuti da docenti superstar. O come nelle lectiones di Paolini, dal Vajont a Verdi (il suo prossimo lavoro), dove anche i più indigenti di tempo letteralmente si scordano di avere l’orologio.


Parlando di Galileo, discutere di metodo sembra pertinente. Qual è stato il suo per questo spettacolo?Metodo mi sa di dogma, direi piuttosto pratica, mestiere, che richiama una dimensione artigianale della ricerca. La nostra testa è analogica, procede per azioni e reazioni, stimoli e battute d’arresto. Io avanzo a tentoni in ogni materia nuova e finito un libro corro a prenderne un altro. Poi ragiono ad alta voce davanti a qualcuno e così mi costringo a mettere in fila le cose come fosse un esperimento. La reazione dell’altro è la verifica di quanto barboso sia ciò che sto dicendo. Così cerco soluzioni, parole e modi di dirle, più efficaci.
Un espediente che usa costantemente è riportare il discorso a oggi alludendo, con risultati comici, a cose che non esistevano nel ’500. Perché è importante?
Devo aver letto male il manuale dell’attore perché invece di calarmi nel personaggio lo calo in me. Quindi dico che Galileo prende il Freccia Argento o che i cinesi fanno i dvd pirata delle sue opere. È una piccola forma di demagogia, non bisogna esagerare.
Stavolta la materia era particolarmente complessa. Come ha studiato e con l’aiuto di chi?
Il punto di partenza è che io non ho la preparazione di uno che ha studiato storia della scienza. Però per un certo tempo, diciamo alcune settimane al mese per tre anni, mentre facevo anche altre cose in parallelo, mi sono buttato su questi testi densi e complessi. Alla prima lettura capivo poco, alla seconda di più, alla terza di più ancora e a quel punto avevo sviluppato familiarità coi contenuti, li avevo mappati. Ovviamente mi hanno aiutato i miei coautori Stefano Gattei e Francesco Niccolini. Tra i libri fondamentali ricordo Galileo di Egidio Festa, La rivoluzione copernicana di Thomas Kuhn, Sei pezzi facili di Richard Feynman.
Ma soprattutto, se capisco bene, più che libri su Galileo, libri di Galileo: è così?
Sì, e mi hanno ha cambiato la vita. L’approccio è stato duro. Ho cominciato con il Dialogo e non ci capivo niente. Fortunatamente non mi sono scoraggiato e ho comprato il resto della produzione, compresi gli scritti di balistica. Prima li ho letti saltando le note, poi leggendo anche quelle e, mano a mano, molto si chiariva. Alla mia età, come disse Calvino, uno non potrebbe dire “ho letto i classici” ma solo “ho riletto i classici”. Ma io non ho di questi problemi. Li ho letti adesso ed è un’esperienza esaltante che consiglio a tutti quelli che non vogliono rassegnarsi alla propria ignoranza.
Sì, ma poi come riesce a metabolizzare tutte queste informazioni che ci terrorizzavano da studenti e renderle addirittura avvincenti?
Il tutto viene filtrato dal mestiere, dal corpo dell’attore. Il confronto con un prof sarebbe ingeneroso: lui insegna tutti i giorni, io ho una lezione sola che preparo in qualche anno. Mi arrivano anche email cattivissime di gente che corregge i miei errori, ma le accetto stravolentieri. Non mi sono mai sentito avanguardia o depositario della verità. Non mi pongo davanti alle cose che racconto, ma in mezzo a loro. Le elaboro, le faccio girare.
Non va a lezione da professori veri?
Ci ho chiacchierato, ma tendo a non adottare il loro punto di vista. A scuola non puoi farlo, da adulto invece sì. Si possono prendere cantonate, ovvio. Eppoi un conticino aperto con la fisica ce l’ho da anni, dai Miserabili, lo spettacolo sugli anni della Thatcher. Citavo il secondo principio della termodinamica, quello sull’entropia, come antidoto all’idea di deregulation esplosa in quegli anni. La fisica lo insegna: i limiti esistono. Niente si crea dal niente, tragica illusione degli anni ’90 con la new economy e della crisi che stiamo vivendo ora, con la finanza fuori controllo.
È partito dalla fisica per arrivare all’economia…
Che è una disciplina, non una scienza, che sempre più si affida a modelli matematici e procede per immagini, un po’ come l’arte. La citazione dei limiti della fisica mi serviva per dire che anche la creatività ha bisogno di argini. Non è che vale tutto. Il mio mestiere, e lo dico senza milantare credito, è affine a quello dello scienziato nel modo di procedere. C’è la fatica dell’intuizione. Capire quale immagine funziona e quale no. Ed eventualmente prendere altre strade.
Ha citato la new economy: qual è il suo rapporto con le tecnologie?
Uso pochissimo internet. È un cosa di cui si abusa, che la Chiesa dovrebbe inserire tra i peccati capitali. Perché è comoda, però è fatta di schegge di informazione che vanno sapute manipolare. E che finiscono per diventare una minestra riscaldata da qualcun altro. Il problema principale, per come la vedo io, è la mancanza della dimensione “tempo” e la difficoltà di risalire alle fonti. Negli archivi tradizionali trovo l’uno e l’altro, e mi fido. Siamo così fanatici di tracciabilità, ad esempio del cibo, ma non di quella non meno importante dell’informazione. Internet è tanto più pericolosa perché è comodissima, e ci porta a vivere nel paese dei balocchi. Per questo è tanto più utile capire la scienza che l’ha generata invece di arrendersi a vivere nel parco giochi che è diventata. Dove uno digita la domanda sul telefono e trova la risposta: sembra un Rischiatutto fatto in casa. Ma, come tutte le cose troppo comode, fa accumulare grasso.
Tornando al tema dei temi, quanto è libera la scienza oggi?
La mia tesi, e lo dico con rispetto, è che la scienza è una cosa troppo seria per essere lasciata solo a scienziati. Non possiamo parlare istericamente di staminali e fine vita solo quando esplodono nella cronaca. Nello spettacolo cito l’Aeropagitica di John Milton sull’importanza della libertà di stampa. Lo scienziato Freeman Dyson applica lo stesso principio alla sperimentazione: il proibizionismo non funziona neppure con la cocaina se – come dice Saviano, e c’è da crederci – la consumano tutti quelli che ci stanno intorno. Per orientare la scienza nella direzione giusta serve una massa critica di cittadini che ci abbia maggiore confidenza. Spero quindi che questo libro lo leggano soprattutto i giovani.
Il 26 giugno 1633 Galileo è costretto all’abiura, letta poi in tutte le università cattoliche del mondo conosciuto. Eppure, lei dice, non si arrende e tra i suoi 70 e 80 anni «dimostra a un Paese di vecchi e sputtanati cosa è possibile fare». Qual è la lezione che ci dà?
Galileo, vecchio, quasi cieco e agli arresti domiciliari, non si fa mettere in pensione dagli altri. E si rende protagonista di un paradosso. Lui che ha scoperto la legge di inerzia aveva contro un sistema inerziale di 1500 anni, ovvero il mondo raccontato da Aristotele. Eppure non si è scoraggiato, e oggi tutti viviamo nel mondo spiegato dal pisano. Quelli che oggi si lamentano contro un sistema troppo immobile per dire che non si può cambiare, dovrebbero ricordarsene per capire che gli ostacoli che si trovano davanti sono inezie rispetto a quelle superati allora. Il ragionamento ovviamente si può traslare in altri ambiti. Magari anche il sistema economico attuale non è l’unico dei mondi possibili. Quando, all’inizio dello spettacolo, chiedo al pubblico un minuto di rivoluzione non intendo dire un minuto in cui si fa casino, ma in cui si pensa per conto proprio. Veniamo da anni di cura ossessiva per il corpo, proviamo a fare anche un po’ di ginnastica per il cervello.
Fonte: http://stagliano.blogautore.repubblica.it/2013/12/06/galileo-secondo-paolini-la-rivoluzione-e-sempre-possibile/

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